Tour de France 1960. La Gap-Briançon, 172 chilometri alpini con tanto di Vars e Izoard. Due azzurri in maglia tricolore – si correva a squadre nazionali – fuggono, decollano, scalano e precipitano, infine non si dividono la vittoria, non è possibile, né umanamente né ufficialmente, ma si dividono la vita. Perché da quel giorno, fra Graziano Battistini, primo, e Imerio Massignan, secondo, resterà almeno un’ombra, un turbamento, se non un mistero.
Bruno Raschi, che seguiva la corsa per “La Gazzetta dello Sport”, cercò di raccontare poeticamente la luce di quell’impresa, ma anche il buio di quella diatriba, evocando “I due fanciulli” di Giovanni Pascoli. “Potevano dunque quei due bravi ragazzi aspettar la sera per darsi la mano? E se la diedero subito al cospetto della gente e dei monti. Dice la storia che ‘a letto il buio li fasciò’, che dormirono come due bravi angioletti, senza che Binda dovesse preoccuparsi di ‘rincalzar con un sorriso il letto’”. Invece Binda fu costretto a prodigarsi per riportare la pace. E Massignan non trovò sonno.
Lucio Claudio Merli ha scritto “Dall’Aubisque allo Stelvio” (Società Editrice Apuana, 54 pagine, 10 euro), un affettuoso e sottile libro su Graziano Battistini, “il campione venuto dai monti”. I monti sono quelli intorno a Pulica, piccola frazione di Fosdinovo, ai piedi delle Alpi Apuane, dove la Toscana sa molto di Liguria, tanto che Battistini sarà spesso tramandato come spezzino. Ma i monti sono soprattutto le Alpi e l’Appennino, i Pirenei e tutte quelle salite dove Battistini, in sella o sui pedali, sudando e soffrendo, ma anche sublimandosi, come accadde quel giorno sul Vars e sull’Izoard, sembrava conoscere il segreto della leggerezza.
Merli traccia la storia di Battistini corridore. L’intuizione originaria del cognato, che lo spinge verso il ciclismo. L’opposizione, almeno iniziale, della madre Dolina, che teme per l’incolumità del figlio. La prima vittoria a Monti (ancora monti) di Licciana dopo aver staccato tutti sulla salita (sempre salite) di Agnino. I successi da dilettante e le sette vittorie da professionista, poche ma memorabili. E qui ricordate per gli smemorati, compresa quella tappa in cui Massignan, un’aquila in salita ma un passerrotto in volata, non si sarebbe mai rassegnato al cosiddetto posto d’onore.
Battistini fu uno di quei corridori schiacciati dal peso dell’eredità di Fausto Coppi. Il ciclismo (lo sport, la storia) italiano non vedeva l’ora di trovare l’erede del Campionissimo. Lo cercava per lanciarlo, declamarlo, goderlo. E lo faceva su atleti che non ne avevano le stimmate. Ma già erano già cambiati i tempi, mutate le terre, trasformate le strade, le squadre, le corse, la società. Non ci poteva essere un altro Coppi. Non ci sarebbe più stato. Battistini visse una traiettoria breve. Non tanto da corridore: dieci Giri, due tappe vinte e quattro in maglia rosa, un quarto posto nella generale, cinque gran premi della montagna con una Cima Coppi sullo Stelvio, e tre Tour, due tappe vinte, un secondo posto nella generale, due gran premi della montagna compreso l’Aubisque. Visse una traiettoria breve come uomo: morì a 57 anni. Però Merli, e chi da questo libro trarrà informazioni, notizie, spunti, ispirazione (oltre alla famiglia e agli amici del Museo del ciclismo Adriano Cuffini di La Spezia), ne prolungano l’esistenza e ne nutrono la leggenda.
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