Parte il Tour e lui decide di restare a casa, perché è stato Fabio Aru ad issare bandiera bianca dopo una sfida tricolore incolore e dolorosa. Il sardo non cerca scuse, ma chiede giustamente rispetto. Lo chiede a tutti, perché quello che sta vivendo da alcune stagioni non è facile da digerire, soprattutto da capire. Ne ha parlato con Ciro Scognamiglio sulla Gazzetta in edicola oggi, con poche parole asciutte e rivelatrici di un disagio più che giustificato e per questo da rispettare. Cosa è successo? E soprattutto perché? Se lo chiede il corridore, se lo chiedono i tanti che continuano a volergli bene e a seguirlo. «Ero bianco come uno straccio – racconta il portacolori della Qhubeka Assos -. Mi sono seduto su una panchina per un’ora. Ho bevuto acqua e coca-cola. Nel rientrare a casa facevo fatica anche a guidare. E lunedì sono rimasto tutto il giorno a letto. Un malessere così non lo avevo mai avuto. Così ho detto io alla squadra che non era il caso di tenermi negli otto per il Tour».
È lontano il Fabio Aru dei due podi del Giro, della vittoria alla Vuelta, del quinto posto al Tour de France. È lontano anche il Fabio tricolore… è rimasto quello pieno di dubbi del prima e del dopo l’operazione all’arteria iliaca femorale. «Domenica a Imola, quando hanno cominciato ad accelerare, anche se non si era entrati nel vivo… ho sentito tanto il caldo e non riuscivo più a respirare», precisa. E aggiunge: «Da anni sto lottando e non riuscire a essere con i migliori mi dà molto fastidio, perché non sono un lazzarone. Anzi faccio il massimo».
Si interroga Fabio, anche sul suo futuro, e lo fa chiedendo un minimo di rispetto per la sua persona. Portiamo rispetto.