
Com’è ormai tradizione, mercoledì 3 marzo il Trofeo Laigueglia inaugurerà la stagione agonistica italiana dei professionisti. Anche quest’anno la classica d’apertura sarà organizzata dal G.S. Emilia, di cui è titolare il bolognese Adriano Amici, classe 1943, che in gioventù aveva corso in bici con buoni risultati. Gli appassionati di ciclismo astigiani meno giovani lo ricorderanno, nel 1968, con la casacca della Sis Cavallino Rosso, in una squadra che comprendeva anche il veronese Franco Mori, il romano Antonio Fradusco, i lombardi Felice Salina ed Emilio Garanzini e, unico indigeno del gruppo, l’astigiano Giovanni Turello. Alla guida dell’ammiraglia il grande Ettore Milano, che era stato il luogotenente prediletto dal Campionissimo Fausto Coppi.
Adriano, come ricorda quella sua stagione astigiana?
«Ne ho un ricordo bellissimo, perché i dirigenti della Sis, e in particolare il dottor Angelini, mi avevano preso a ben volere e mi facevano sentire come in famiglia. Pensi che l’accordo economico iniziale prevedeva uno stipendio di 50.000 lire al mese se fossi rimasto a vivere a casa mia e tutte le spese pagate per andare a correre. Ma ben presto mi vollero in ritiro collegiale e lo stipendio restò inalterato. Ricordo certe mangiate di riso e tartufo…».
Che tipo di corridore era?
«Ero soprattutto un velocista. Ma quando ero in forma non mi facevano paura le salite di media difficoltà».
Ottenne buoni risultati in quella stagione?
«Non fu una delle mie annate migliori, vinsi solo l’ultima tappa del Giro del Piemonte ad Alessandria e arrivai secondo in sette-otto circuiti tipo-pista, che obbiettivamente “valevano” meno di una corsa su strada. Ma a fine anno, al momento della liquidazione dei premi, quei posti d’onore mi vennero conteggiati come se fossero stati ottenuti su strada. Con me, lo ripeto, si sono comportati da gran signori e ancora adesso ho il rammarico di non averli accontentati restando al Cavallino Rosso anche l’anno dopo. Mi avrebbero trovato una casa e anche un lavoro».
Perché allora non restò?
«Perchè tramite Gino Bartali, che era amico di mio padre, avevo trovato un ingaggio per passare professionista con la Eliolona ed il miraggio di correre con i “grandi” mi ha impedito di accettare la generosa offerta dei dirigenti astigiani».
Come proseguì la sua carriera?
«Dopo la Eliolona, gareggiai per due anni nella Cosatto, il primo anno con Taccone e quello dopo con Fabbri e Panizza. Miglior risultato “vero”: il 2° posto nella Coppa Sabatini nel ‘71 dietro a Poggiali. Ma vinsi anche due circuiti tipo-pista, uno dei quali proprio al mio paese, Casalecchio di Reno, battendo nientemeno che Eddy Merckx e Marino Basso. Ma so benissimo che quel giorno mi lasciarono vincere, non solo perché correvo sulle strade di casa ma soprattutto perché il giorno dopo sarebbe nato mio figlio Andrea. Fu un regalo meraviglioso!».
E poi?
«Dopo aver attaccato la bicicletta al chiodo sono tornato a lavorare nella bottega di mio padre Aladino. Ma il ciclismo mi era rimasto nel sangue, nei primi anni Ottanta ho cominciato ad organizzare qualche circuito e da allora non mi sono più fermato. Finora con il mio gruppo di collaboratori abbiamo organizzato circa 370 gare, tra cui spiccano il Giro dell’Emilia, il Giro di Sardegna, il campionato italiano, il Memorial Pantani e la Settimana di Coppi e Bartali. Aver corso in bici mi ha aiutato molto in questa attività ed in questo senso anche la stagione astigiana al Cavallino Rosso ha contribuito alla realizzazione del mio sogno: quello di far diventare un lavoro la mia passione”.
da La Stampa – edizione di Asti
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