Caro direttore, non sto a rubare nemmeno un millimetro di spazio per ripetere quanto tu hai già così chiaramente (e coraggiosamente) espresso nel tuo commento a caldo sulla tradizionale grana degli inviti al Giro. Dico tradizionale perchè sta nell'anima stessa della faccenda: quando bisogna scegliere, c'è sempre qualcosa o qualcuno che carica la bile.
Mi intrometto nella questione soltanto perchè vorrei aggiungere, non ripetere. Aggiungere al tuo dire, squisitamente tecnico, una visuale forse un po' obsoleta, superata, antiquata, ma dal mio punto di vista vitale e intramontabile, per questo anzi meritevole di una cocciuta resistenza umana. Parlo della dimensione sentimentale di questa scelta, cioè dell'unica dimensione che ormai nello sport – come nella vita – non importa più a nessuno, perchè questa è l'era del pratico, del cinico, del calcolo, del dare e dell'avere (più dell'avere che del dare).
Pateticamente, voglio invece gridare che a me un Giro senza la Androni e senza Gianni Savio non sembra più lo stesso Giro. Già li sento, i saputelli del ramo: ma cosa avrà mai vinto, l'Androni, ma cosa avrà mai contato, l'Androni. A questi saputelli vorrei risparmiare la fatica di espormi il loro sapere, perchè già tutti sappiamo che l'Androni e Savio non hanno mai vinto il Giro. Però c'è subito il però: nessuno, mai, potrà negare che l'Androni e Savio hanno sempre onorato, nobilitato, movimentato la nostra corsa più bella. Ogni giorno, ovunque, senza risparmiare una sola goccia di sudore. Più di tanti altri. Forse più di tutti.
Mi si dice che oggigiorno tutto questo non conta niente. Contano i programmi, conta il budget, conta l'appeal, conta il ritorno di immagine e di relazioni, conta la presa sul grande mercato mondiale. Rispondo: non me ne importa nulla, per me continuerà a contare, oggi e sempre, il valore sportivo ed emotivo di una partecipazione. Vale per i campioni, vale per i gregari, vale per le squadre. Dunque, vale anche per Savio e l'Androni. Non voglio neanche farla tanto lunga sulla nazionalità della squadra, perchè ormai qui è fatica trovare qualcosa di italiano, e ancora di più è fatica farlo contare qualcosa. Mi interesserebbe molto di più che una squadra da sempre in prima fila nell'amare il Giro d'Italia, con i fatti, non con le chiacchiere, si vedesse in qualche modo corrisposta. Non mi piace, non mi piace proprio il metodo moderno che mette tutti sullo stesso piano: nossignori, non sono tutti sullo stesso piano. Tanti di noi il Giro lo amano più di altri, e sarebbe bello che il Giro questo lo considerasse.
Rispetto a te, caro direttore, non provo nemmeno a stabilire chi sia tecnicamente – oggettivamente – più meritevole tra Androni e Vini Zabù. Non mi interessa, non ci voglio entrare. Anche perchè non se ne esce più. Non se ne esce mai. Resto a quanto mi sta più a cuore: ci sono squadre e personaggi che i titoli per partire al Giro d'Italia non se li sono acquisiti in fretta e furia, nell'arco di qualche mese, raccattando qualche soldo e qualche promessa in fretta e furia, ma con anni, intere epoche di valorosa partecipazione. E quando dico partecipazione, non intendo solo la presenza al via: parlo della partecipazione affettiva, ideale, passionale.
Ecco, signor direttore Vegni, me lo lasci dire: se lei tenesse in conto anche questo, almeno quanto le fideiussioni bancarie, non potrebbe negare che Savio e l'Androni meritino un posto fisso, non dico a capotavola, ma di rispetto e di riguardo, al grande galà di maggio. Sempre, ogni anno. I titoli e i gradi, in certe battaglie, non li assegna chi sta comodo in fureria: si conquistano direttamente sul campo. Ragionando così, a Savio e all'Androni andrebbe il primo degli inviti, nemmeno l'ultimo. Per questo, lasciarli fuori ha l'inconfondibile sapore di uno sgarbo. Meglio: di un'ingiustizia imperdonabile.