La lunga storia d’amore tra Diego Rosa e la bicicletta è iniziata un po’ per caso. Il 31enne di Corneliano d’Alba, che vive a Montecarlo da sei anni, non avrebbe mai pensato che la gara disputata ad Alba con i suoi compagni della scuola media sarebbe stata la prima di una lunghissima serie: «Quella per il ciclismo è una passione nata per scherzo durante un sabato pomeriggio di maggio quando, insieme ai miei compagni di scuola, ho partecipato ad una gara amatoriale in mountain bike e, in modo del tutto inaspettato, ho vinto. Da lì la voglia di riprovarci fino ad arrivare al Diego Rosa di oggi, felice ed appagato di quello che sono riuscito a fare fin qui. Poi chissà».
Da semplice hobby pomeridiano la bici è diventata prima il suo impegno e oggi il suo lavoro, ma il passaggio non è stato semplice ed è avvenuto in maniera piuttosto graduale: «In mountain bike eravamo lasciati un po’ a noi stessi come si suol dire, solo quando sono arrivato tra gli Under 23 con la Giant Italia Team ho iniziato ad avere un calendario gare un po’ più definito ed è proprio qui che ho capito che cosa volesse dire fare la vita del corridore, quella che tutt’oggi amo. Ho corso in mountain bike fino al 2012, anno in cui sono passato a correre con la Palazzago, e anche qui quasi per caso. Durante una gara di coppa del mondo di specialità in Sud Africa mi sono rotto il mignolo della mano sinistra e nel periodo di riabilitazione ho deciso di provare la bici su strada. Mi è entrata nel cuore sin dal primo momento, ed è una scelta che ad oggi non rinnego assolutamente. Ci sono arrivato per gradi, senza aver fatto allenamenti esasperanti da giovanissimo e credo che questo sia fondamentale».
Per Diego quella della mountain bike è stata una vera e propria palestra, che ha differenze sostanziali con la strada: «Passare dalla mountain bike alla strada non è semplicissimo. Ho dovuto imparare a gestire bene lo sforzo e quindi le riserve di energia, a differenza della mountain bike dove qualsiasi azione viene fatta nell’immediato senza pensarci troppo. I primi anni su strada andavo sempre in fuga ma ad un certo punto mi spegnevo facendo spesso anche molta fatica ad arrivare al traguardo. Una fuga in particolare? Nel 2013 alla mia prima Milano-Sanremo (corsa accorciata a causa della troppa neve ndr) in maglia Androni. Prima della partenza avevo detto a mio papà Arturo di guardarmi perché sarei andato in fuga, e così è stato anche perché era l’unico modo per poter fare qualcosa. Una giornata che non dimenticherò mai. I primi anni gestivo male le mie energie e non avevo metodo nello stare in corsa ma con il tempo e le esperienze ho trovato la mia dimensione».
Il portacolori della Arkea Samsic sottolinea: «Credo molto nella multidisciplinarietà, a me ad esempio la mountain bike ha aiutato molto ad affrontare certe situazioni che si creano su strada e inoltre sai di avere una buona maneggevolezza della bici. Una sensibilità sopraffina e questo può essere un bel vantaggio. È stata una vera e propria scuola che mi ha permesso di essere il ciclista che sono oggi».
Infine un pensiero sul suo debutto stagionale: «Domenica ho esordito al Gp La Marseillaise, ma purtroppo ci hanno fatto sbagliare strada a circa 30 chilometri dalla conclusione. È andata così, abbiamo fatto un giro a vuoto a Marsiglia, ma l’importante è essere tornato in gruppo dopo l’infortunio alla clavicola (fratturata durante l’ottava tappa al Tour, quella con arrivo a Loudenvielle ndr). È stata una sensazione strana tornare a correre, non avevo molta confidenza e ho avuto un po’ di timore nell’affrontare le discese. Per essere la prima corsa di questa stagione sento di avere una buona condizione ma con ampi margini di miglioramento in vista delle prossime corse: il Tour du Haut Var, il Trofeo Laigueglia e a seguire tutte le corse italiane fino arrivare alla Milano-Sanremo, wild card permettendo».
Foto Credit: @BettiniPhoto
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