A questo punto però bisogna lavorare sulla manopola del volume, almeno per un momento, abbassando al minimo il clamore di un Giro tanto fragoroso, stravolto e deformato dal Covid, ogni giorno in bilico tra realtà e assurdo. Doverosamente, con sincera ammirazione, bisogna parlare di quelli che comunque questo teatro stanno tenendo in piedi, contro ogni genere di calamità e di bastone tra le ruote, andando ogni mattina alla partenza della tappa, imponendosi di andarci come sempre, come se niente fosse. I corridori, ma certo, e chi se no.
Dobbiamo parlare dei valorosi superstiti di questo sadico tiro al piccione della scalogna, così insolente da divertirsi a inventarne di tutte, tombini borracce transenne, con tutto che comunque poi lo stesso Covid è entrato in scena dimostrando la stessa mira, perchè ad ogni colpo cade sempre un nome eccellente. Messi tutti assieme gli impallinati, facciamo una lista decisamente incredibile di gente aristocratica, li ricordo per fare memoria, Lopez, poi Vlasov, poi Thomas, poi Yates, poi Kruijswijk, e ci metterei pure Fuglsang, che per fortuna è ancora qui, ma gambizzato da una foratura nel finale atomico di Tortoreto.
Che il diavolo se la porti, questa scalogna cecchina, capace di mettere immancabilmente nel mirino i già pochi pezzi pregiati della collezione. Ma in attesa che il diavolo se la porti, ancora di più l'ammirazione deve andare ai sopravvissuti di questo inverosimile “Survivor”, reality realissimo marcato Giro d'Italia, che stanno mettendo in mostra doti di resistenza e di tenacia fuori dal normale.
Proviamo a fare mente locale. Proviamo a immaginare che cosa significhi andare tutti i giorni alla partenza in questa atmosfera, con questo stato psicologico. E poi immaginiamo pure che cosa significhi correre tutti i giorni senza lo straccio di un programma e di una strategia, perchè la natura stessa di questa sfida sta tutta nella precarietà, oggi si gareggia e domani chi lo sa, per cui avanti tutta e pochi calcoli. Ogni giorno una battaglia, con la tremenda sensazione che magari possa essere anche l'ultima. Sarà così pure nella Nove Colli rosa di Cesenatico: nessuno potrà pensare di risparmiarsi per la crono, per Piancavallo, e tanto meno per la famosa terza settimana che da sempre incombe e condiziona. Niente, tutto saltato, tutto in frantumi. Si vive alla giornata e si lotta metro su metro.
E loro lo stanno facendo. I superstiti continuano a fare benissimo il proprio lavoro, a onorare la propria maglia e la propria passione, riuscendo nell'impresa di illudere tutti noi per qualche ora, con uno spettacolo che letteralmente è il massimo dell'immaginabile, in queste condizioni. Attorno c'è un Paese che sta rimasticando giorno dopo giorno l'ansia crescente dei contagi crescenti, ciascuno sta cercando nuovamente di correre ai ripari, loro invece continuano a pedalare imperterriti, fedeli all'impegno sottoscritto, alla missione estrema di arrivare fino a Milano.
C'è un ragazzino di 22 anni che difende con le unghie la sua maglia rosa, c'è un anziano di 38 anni tenuto assieme con il filo di ferro che sta lottando più e meglio di quando ne aveva 20, c'è il favorito che fora nel finale di una tappa elettrica eppure nemmeno di sogna di tirare indietro la gamba, prendendo al volo la scusa buona per chiamarsi fuori. E quando arriva una volata, i kamikaze del settore sono puntuali là davanti, a sfidare il terrore, sul filo dei 70 all'ora.
Per tutto questo, personalmente m'inchino e m'inginocchio. So quanto è difficile, so quanto sia stramba e insopportabile questa finta normalità, so quanto pesi e quanto costi. A maggior ragione, niente e nessuno riuscirà a intaccare un giudizio che è già finale e definitivo. Almeno per me. Questo: in un Giro di serie B, in un Giro sconclusionato che non passerà alla storia per il suo vincitore, abbiamo comunque un gruppo da scudetto, tutto intero, senza eccezioni. Un gruppo che questo maledetto periodo nemmeno si merita. Come minimo, grazie. Senza se e senza ma. Comunque vada a finire.