ADISPRO. GOETZ: «LA NOSTRA STAGIONE INCREDIBILE...»

INTERVISTA | 09/10/2020 | 07:48
di Valerio Zeccato

La stagione anomala del ciclismo porta ad un autunno altrettanto anomalo: invece del normale periodo di fine attività, ci ritroviamo in pieno calendario. Il primo bilancio di quanto è successo dall’1 agosto ad oggi lo facciamo con Davide Goetz, oramai da quasi dieci anni presidente dell’ADISPRO.


«E’ una stagione veramente incredibile, che rimarrà nella storia, spero come caso unico, tutti speriamo che l’anno prossimo si possa tornare alla normalità, anzitutto per la salute delle persone, ma certo anche per la salvaguardia del lavoro, anche nel nostro sport. Siamo a fine anno eppure non abbiamo ancora corso il Giro e tra poco scatta la Vuelta. Incredibile! E’ impossibile fare bilanci adesso, da ogni punto di vista, anche per valutare in modo attendibile l’impatto economico e sportivo che questa paralisi ha provocato. Non siamo in grado neppure di sapere gli effetti che tutto ciò provocherà sulla stagione a venire, c’è solo da augurarsi che gli sponsor non facciano mancare il loro sostegno proprio adesso, per sfiducia diffusa, e che sia possibile per i team proseguire una programmazione. Era già dura, adesso bisogna davvero stringere i denti».


Un calendario anomalo, ma le corse ci sono.

«Personalmente, credo che sia giusto giudicare la situazione vedendo il bicchiere mezzo pieno: per come si era messa, era spontaneo pensare al peggio, al blocco definitivo della stagione, con danni irreparabili per tante famiglie che vivono di ciclismo. Invece, grazie alla tenacia e alla professionalità di cui è stata data prova, sono state egregiamente organizzate corse importanti, con gare bellissime, il ciclismo non è morto, è apparso anzi ancora più bello, in modo posso dire commovente. Certe immagini, le prime dopo la chiusura, mi hanno particolarmente emozionato, mi viene anzitutto in mente Siena. Ma anche Lombardia e Sanremo, con quella luce così diversa dal solito... E si è appena concluso un Tour con un finale mozzafiato, mi fa piacere ricordare con due nostri direttori sportivi componenti del team vincente: Vicino e Marzano».

Ci sono state anche polemiche, sui protocolli e sulla sicurezza.

«Sui protocolli, tanto temuti, costosi e faticosi, sino ad ora c’è stata una tenuta e, come dicevo, credo che per quest’anno sia giusto gioire per ciò che si è riusciti a salvare, con queste difficoltà enormi da affrontare. Bisogna dire grazie agli organizzatori che hanno avuto la determinazione di portare avanti i programmi nonostante tutto, quando forse era più comodo rinunciare, anche per evidenti ragioni di responsabilità. Solo un nome per tutti, Mauro Vegni. Dobbiamo ritrovare la capacità di fare sistema e di dire grazie, qualche volta, anziché dare tutto per scontato e fare polemiche, un difetto diffuso che nel nostro ambiente non fa eccezione. E bisogna dire grazie a Renato Di Rocco che ha salvato il Mondiale portandolo in Italia. Se altre volte si lamentata una nostra presunta immobilità politica a livello internazionale, in questo caso è giusto intestagli questo successo importantissimo».

E le polemiche sulla sicurezza?

«Due incidenti particolarmente drammatici, quelli occorsi a Jakobsen ed Evenepoel, hanno fatto parlare molto, per certi versi giustamente, ma in alcuni casi con modalità inaccettabili, che mi hanno lasciato molto perplesso, anche da parte di chi avrebbe tutto il prestigio e l’autorevolezza per cambiare davvero le cose anziché puntare il dito a caso e fare confusione. Il tema è sempre troppo attuale e delicato per essere trattato con battute e accuse senza criterio, il rischio è quello di svilire la ricerca costante e autentica verso il miglioramento anziché contribuirvi costruttivamente, dando una mano a chi si impegna concretamente».

I direttori sportivi sono in prima linea con i propri corridori, quando ci sono incidenti.

«I corridori sono sulla strada, senza protezione, e rischiano direttamente sulla propria pelle. Per fare certe acrobazie, più che avere un grande coraggio, bisogna essere un po’ “matti”, mi si passi il termine. Con l’età, avendo appeso la bici al chiodo da oltre trent’anni, quando vedo certe manovre in televisione mi vengono i brividi, paura vera anche se sono sul divano. Dobbiamo quindi immaginare cosa provi il direttore sportivo sull’ammiraglia, quando gli cade il corridore e interviene per primo quando è ancora a terra. E’ dolore anche il suo, dolore vero. I direttori sportivi considerano la sicurezza il tema centrale, prima della prestazione, prima del risultato».

Quali sono le vostre proposte?

«Siamo stati promotori e protagonisti di vari convegni e tavole rotonde e partecipiamo alle commissioni tecniche con i nostri tesserati, ma, soprattutto, esiste un dialogo quotidiano alle corse, con gli organizzatori, per il confronto sulle varie situazioni che si verificano in concreto, non è vero che non esiste un dialogo. Con tutto ciò, è chiara la consapevolezza che si tratta di un tema in continua evoluzione, in cui non esiste un vero punto di arrivo. Il ciclismo su strada è uno sport purtroppo pericolosissimo, con alta probabilità di infortunio anche grave. Bisogna partire da questo dato oggettivo e probabilmente ineludibile, per continuare a migliorare dove è plausibile e giusto pretenderlo. La richiesta assurda del rischio zero, pari alla polemica di chi si sente libero di giudicare su un incidente del tutto imprevedibile sul piano del buon senso, crea solo un clima in cui è solo più difficile operare, come già avviene diffusamente in ogni settore con un fenomeno che definirei di iper-responsabilizzazione, con effetti paralizzanti e controproducenti per tutti, anche per i soggetti che si vorrebbero proteggere».

Ad esempio?

«In generale, mi viene in mente la cosiddetta medicina difensiva, ovvero della tendenza dei dottori a limitare al massimo ogni possibile intervento, per timore della causa. Nel ciclismo, nel professionismo ad alto livello, che pure dispone di ingenti risorse, è diventato molto difficile fare fronte alle plurime nuove richieste nei confronti di un sempre maggiore numero di enti, ciò può scoraggiare gli organizzatori. Nel settore dilettantistico, basato interamente sul volontariato, gli effetti si stanno già manifestando, molti organizzatori non sono in grado di farsi carico di certe responsabilità create da questo andazzo, o non ne possono più. Così l’effetto finale di questo atteggiamento, per presunta ma malintesa tutela del corridore, è quello di fare sparire il corridore stesso, semplicemente perché non c’è più la corsa. Non voglio essere travisato e lo ripeto: la sicurezza è il primo e più importante obbiettivo, ma ci vuole buon senso, perché sennò arriveremo a vietare le volate e le discese». 

Venendo ai casi citati in concreto, è stato quindi inutile parlarne?

«No, al contrario, è stato utile, da parte di chi lo ha fatto in modo corretto. Nel caso della volata in Polonia, è stato giusto osservare, per migliorare, che si sarebbe dovuto evitare un arrivo in discesa con un prevedibile sprint ad oltre 80 orari. Era anche necessario dotare il traguardo di transenne che non consentissero la proiezione del corridore all’esterno contro un ostacolo fisso. Questi erano accorgimenti ragionevolmente esigibili, è giusto dirlo e anzi pretenderlo. Nel caso del Lombardia, chi ha corso in bici sa quanto sia intrinsecamente pericolosa una discesa, quella in particolare. Il mio parere personale è che il corridore possa anche sbagliare quella curva, in un punto in cui peraltro ha già fatto ricognizione, fa purtroppo parte di questo mestiere. E’ perfino ridicolo discutere di una messa in sicurezza dell’intero percorso, con certi criteri. I direttori sportivi che si ritrovano costretti a raccogliere i propri ragazzi sanno che, entro certi limiti, un certo rischio in questo sport non può essere evitato. Il tema della sicurezza è troppo serio e centrale per non essere affrontato con la necessaria obbiettività e professionalità».

Ne parlerete quest’anno al vostro tradizionale convegno?

«Dopo vent’anni a questo giro dobbiamo saltare l’incontro formativo, era troppo complicato riunirsi in presenza e la Federazione ci ha dato una mano acconsentendo ad un rinnovo delle licenze con un corso online. Torneremo l’anno prossimo e il tema della sicurezza sarà sicuramente una buona idea, ne parleremo anche con l’Associazione Corridori che ne ha fatto il proprio obiettivo centrale, ma metteremo più a fuoco il momento della gara piuttosto che quello della circolazione stradale».

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