In questo Mondiale tutto italiano di campioni ce ne sono tanti, ma c’è uno in particolare che, oltre ad aver vinto tanto nella sua carriera di sportivo, si è messo in gioco per aiutare i giovani a crescere con il ciclismo. Stiamo parlando di Maurizio Fondriest, che la maglia iridata l’ha vinta del 1988 a Renaix in Belgio e che, lasciate le corse, ha deciso di dedicarsi a progetti importanti, che aiutano i nostri ragazzi a crescere.
«La maglia iridata non è una maglia qualsiasi, è qualcosa che ti appartiene per tutta la vita. La porti per un anno, ma in realtà non ti lascerà più. È un qualcosa di veramente speciale». Per lui essere presente ad un Mondiale, è un appuntamento importante al quale non si può rinunciare. «Non tutti riescono a vincere un evento come questo, ci sono tanti campioni che nella loro carriera hanno vinto tantissimo, ma non sono riusciti a conquistare questo titolo. Ogni anno ci ritroviamo per la cena riservata ai vincitori del Mondiale, quando sono a tavola, mi accorgo che siamo un piccolo gruppo, che ha avuto l’onore e il privilegio di vestire la maglia più importante di tutte».
Per Maurizio Fondriest vincere una prova iridata non è facile, devi andare fortissimo ed avere anche un pizzico di fortuna, per fare la differenza. Lo considera un club per pochi e gli italiani che sono riusciti in questa impresa, oggi si contano sulla punta delle dita. «L'altra sera c’è stata la cena riservata agli azzurri che hanno vinto un Mondiale. Siamo veramente pochi, c’ero io, poi Baldini, Adorni, Basso, Moser, Saronni, Argentin, Bugno, Bettini e Ballan. Purtroppo non c’è più Gimondi a festeggiare con noi. E' un gruppo ristretto e per questo indossare la maglia con l’arcobaleno sul petto, ha qualcosa di speciale che ti fa capire che sarai campione del mondo per tutta la vita».
C’è il problema Covid19, le corse sono riprese da poco ma tante squadre stanno soffrendo. «Il Covid ha portato molti problemi in tanti settori e anche lo sport non è stato risparmiato. Penso alle piccole squadre, che hanno perso gli sponsor e che fanno fatica a rimanere in piedi, in particolare quelle giovanili. Bisognerebbe trovare un sistema per aiutare di più i giovani, perché sono loro il nostro futuro».
Fondriest pensa al ciclismo come mezzo per aiutare i nostri ragazzi a crescere, non per cercare solo il campione, ma semplicemente perché lo sport fa bene e porta i giovani a formarsi in modo sano. «Aiutare i nostri figli a crescere è un dovere morale che dovremmo avere tutti, io ho deciso di farlo attraverso lo sport, perché è l’ambiente che conosco meglio. Sponsorizziamo delle squadre, non perché ci guadagniamo, ma per investire sul futuro. In oltre la pratica sportiva è anche un aiuto per le famiglie, perché quando fai fare dello sport ad un bambino, per certo lo stai aiutando a crescere sano. Vuol dire togliere i bambini dalla strada e indirizzarli verso qualcosa che fa bene al corpo e alla mente, è una forma di educazione. Sono convinto che lo Stato dovrebbe investire nello sport, perché è un modo sicuro per avere degli adulti migliori domani».
Il nostro Governo tra le varie emergenze, è costretto a fare tagli importanti e così, a subentrare sono le sponsorizzazioni private, come la Alpecin. Maurizio è stato bravo in questo e a Cles, dove vive, ha fatto crescere bene tanti ragazzi e alcuni sono diventati dei campioni, come Gianni Moscon e Letizia Paternoster, che lui stesso ha seguito nei loro primi anni di attività. «Grazie al mio nome, molti ragazzi del mio territorio si sono avvicinati al ciclismo. Speri sempre di trovare un nuovo campione, qualcuno che possa anche far meglio di te, ma io sono contento anche senza dei fenomeni, perché penso che sto facendo del bene alla mia comunità e servirebbero più persone, disposte ad investire sui nostri ragazzi».
Con un occhio puntato al futuro, Fondriest continua a lavorare e a trovare nuove idee per i giovani, per questo è nata la AFB, un progetto costruito insieme a Paolo Alberati. Maurizio e Paolo con l’aiuto del l’ex tecnico Bianco, cercano giovani ciclisti in cui vi siano le doti per poter ottenere dei risultati in questo sport e diventare, un domani dei professionisti. Non si definiscono dei procuratori, perché di fatto, non guadagnano con questi ragazzi, ma al contrario investono nel loro futuro tutelandoli. «Sia io che Paolo abbiamo le nostre attività e questo non lo vediamo come un lavoro da cui prendere un guadagno, è un’idea nata dalla nostra passione per il ciclismo. Sosteniamo i giovani e li aiutiamo a crescere e cerchiamo di tirar fuori il numero maggiore di professionisti. In questo modo sosteniamo anche quei ragazzi che da soli non avrebbero i mezzi per emergere. Abbiamo anche un aiuto in Colombia con Bianco, che cerca i ragazzi sudamericani con doti, da far crescere e li accompagniamo fino al passaggio al professionismo. Questi ragazzi li portiamo in Italia, li seguiamo e poi li aiutiamo ad entrare in squadre dove possono continuare a migliorarsi. E’ un progetto nel quale credo molto e le nostre sponsorizzazioni, in parte servono a sostenere la crescita di questi giovani».
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