Premessa: magari un sacco di gente verrà qui a dirci che lo sapeva già, io confesso che se solo qualche anno fa mi avessero detto amico, a breve due sloveni domineranno il Tour, più o meno l'avrei presa come la notizia di San Marino che invade la Cina.
E comunque. Non mi vergogno a dirlo: anche questo ciclismo che cambia - questo mondo che cambia - riesce ogni volta a sorprendere. Certo non si può dire che Pogacar sia una sorpresa in assoluto, cioè dell'ultimo momento, saltata fuori chissà come da chissà dove. Da tempo era sulla rampa di lancio, in questo Tour più volte ha lanciato i segnali pirotecnici che si aspettavano. Però, però. Quello che combina nell'ultimo miglio, a 21 anni, passa direttamente, in un attimo fulmineo, dalla semplice cronaca alla storia più sontuosa. Secondo me oscura persino il famoso finale di Lemond-Fignon: in quel caso erano due campioni affermati, in questo caso Pogacar è un ragazzino che prende il Tour per il bavero e se lo porta a casa di prepotenza.
Per certe imprese servono gambe, testa, cuore. Ma soprattutto temperamento. Stavolta, un temperamento che umilia e annichilisce persino un valore riconosciuto come l'esperienza. Tutto questo è sbalorditivo.
Superando lo choc, quel che resta davvero è una considerazione scolpita nel marmo: mai credere troppo nel calcolo tecnico. Mai farne un dogma. Questo freddo calcolo, che esce da un'intera cultura, da un'intera tradizione, vuole Roglic padrone del Tour perchè ovviamente è forte di suo, ma soprattutto perchè si fa portare in giro da un'armata potentissima, come e forse più delle armate precedenti, l'UsPostal e la Sky. In aggiunta, il suo rivale, l'ultimo rimasto, questo bimbo suo connazionale, non ha dietro nessuno, meglio, una squadra nettamente più debole (lo dico con generosità), via, di cosa stiamo parlando, dove vuoi che vada.
Ecco dove va Pogacar. Va a prendersi un memorabile trionfo da solo. Meglio: da solista. Da immenso solista restituisce a questo sport qualcosa che gli avevamo tolto, a suon di calcoli, di scienza, di investimenti stellari. Per una volta, l'individualismo essenziale del ciclismo torna padrone, rimettendo al suo posto tutto l'armamentario progettato fanaticamente nei consigli di amministrazione. Se lo rileviamo in questo modo è perchè ormai si tratta di eccezione, nessuno può negarlo. Però, dannazione, può ancora succedere. Altro che dogmi. Altro che rigide programmazioni. Il solista, con la sua forza e la sua scaltrezza, può ancora prendersi gioco, nel modo più beffardo, all'ultimo chilometro, delle armate danarose. Il ragazzino spensierato e coraggioso può sfuggire al controllo spietato delle logiche di squadra. Dopo tutto, è questo il senso più edificante del Tour 2020, sopravvissuto ai contagi.
Anche se siamo italiani, anche se comunque vince uno sloveno, questo è un bel giorno per il ciclismo. Rende più umano e più eccentrico proprio un ingranaggio perfetto come il Tour, forse la sublimazione massima del calcolo moderno. Se ogni tanto qualcosa può sfuggire al nostro controllo, non è detto sia così male. Semplicemente, si chiama imprevedibilità della vita. E conserva intatto il suo fascino.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.