Tivoli è una di quelle città in cui vecchio e nuovo convivono, costretti in qualche modo a condividere uno spazio vitale forse troppo stretto. Camminando per gli stretti vicoli con i sanpietrini si può fare un salto nella storia, basta un semplice respiro per far viaggiare l’immaginazione verso secoli che abbiamo conosciuto soltanto attraverso i racconti. Ci sono le chiese, le ville, le case gotiche, un piccolo mondo che non si è voluto piegare all’avanzata del tempo, ma continua a vivere ammirando in silenzio lo stagliarsi in lontananza della cupola di San pPietro.
Tornare alla realtà è però questione di un attimo, il rumore del traffico cittadino incombe dietro l’angolo. È sufficiente spostarsi di poche centinaia di metri per trovarsi inghiottiti dall’onda del progresso, quella che non si ferma davanti a nulla e nega la contemplazione silenziosa ad ogni costo.
È in questo duplice volto della città di Tivoli che è arrivata la quarta tappa del Giro Rosa, la frazione più lunga in assoluto. La competizione internazionale femminile si è impossessata dolcemente delle strade lastricate, dei vicoli, delle insenature impossibili, facendo piombare tutto quanto nella contemporaneità. Mai edizione più di questa ha dovuto convivere con l’incombere del nostro tempo, con la consapevolezza di combattere una battaglia, quella contro il covid, che forse è già stata persa in partenza.
Ieri però non c’era solo il Giro Rosa, nella maggior parte dell’Italia era il grande giorno della riapertura delle scuole, quella sfida che ancora oggi appare impossibile. Intorno al chilometro finale di scuole ce ne erano ben tre, nascoste tra i vicoli lastricati e protette dalle transenne. Le ho trovate per caso, mentre ingannavo il tempo in attesa che la competizione entrasse nel vivo. Mi ha attirato la voce dei bambini e mi ci è voluto un po’ per rendermi conto che non era un parco pubblico. Mi è sembrato di assistere ad un miracolo, scolari in fila con la cartella sulle spalle che uscivano uno dopo l’altro ad abbracciare i propri genitori per poi presentare, subito dopo, il nuovo amico che avevano conosciuto.
Lo devo ammettere, mi sono emozionata, e non perché a scuola non vado più da diversi anni, ma per il semplice motivo che forse non lo ritenevo più possibile. Qualche mese fa il mondo era sull’orlo del collasso, l’istruzione era solo una delle tante sfide impossibili che sarebbero fallite e invece eccoli lì, i piccoli scolari che ridono, scherzano e piangono per il primo giorno, perché anche quello fa parte del gioco.
Gli stessi bambini li trovo alcune ore dopo, assiepati in un angolo pronti ad accogliere la corsa. È un giorno qualunque, di un anno qualunque, ma le mascherine che celano i volti e la zona del traguardo vuota ricorda in modo brutale che siamo nel 2020.
Il tempo non può fermarsi, il mondo deve continuare, nonostante tutto. Tivoli lo ha già capito da un pezzo accettando di affiancare la sua storia al traffico della capitale. Ieri però la contemporaneità è diventata un’onda ancora più forte, ci ha ricordato contro chi combattiamo, quanto abbiamo perso e quanto dovremo perdere ancora. Dovevamo uscirne da sconfitti, o fino ad un mese fa era così, le scuole non dovevano riaprire, il giro non doveva partire. Eppure eccoli lì, gli scolari stanchi reduci dal primo giorno di scuola a salutare con la mano le cicliste più forti del mondo.
Dobbiamo convivere con il nostro tempo, con le sue insidie e con le sue tremende verità, ormai lo sappiamo troppo bene, ma abbiamo imparato anche che, se combattiamo, possiamo riprenderci tutto questo.
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