Il coronavirus è stato un avversario durissimo da battere, ma Pierino Gavazzi ha vinto anche questa sfida. È tornato in sella, ha ripreso a pedalare - «Poca roba, però, non ancora come vorrei» - e gli è tornata anche la voglia di seguire il ciclismo, magari dal vivo, per tornare a respirare il profumo delle corse.
A 69 anni, sul volto di Pierino ètornato il sorriso: «Dopo aver provato l'isolamento - dice alla Gazzetta di Lucca - e aver visto la morte in faccia, ho pianto riabbracciando mia moglie Marilena ed ho capito quanto sia importante la famiglia e ritrovarsi con figli e nipoti. Loro mi danno la forza per affrontare la vita quotidiana e le nuove sfide».
In questo periodo drammatico ha avuto la vicinanza degli amici?
«Si, tante testimonianze di affetto ed in particolare da Ivano Fanini che è stato costantemente vicino a me ed ai miei familiari». Una amicizia che nasce da un rapporto di lavoro: gli ultimi cinque anni di carriera professionistica il velocista li ha trascorsi con le squadre Fanini, l'ultimo biennio con l'avvento di Amore & Vita. Tanti i suoi successi ma uno in particolare è rimasto nella storia, quello del 26 giugno 1988 all'autodromo Dino Ferrari di Imola quando si laureò campione d'Italia per la terza volta, vincendo la Coppa Placci. Aveva 38 anni e riuscì nell'impresa dopo un lungo digiuno di vittorie, battendo con uno sprint lungo due campioni del mondo come Giuseppe Saronni e Maurizio Fondriest. Tanto di Ivano Fanini ci fu in quel titolo, per aver sempre creduto che Gavazzi non fosse ancora finito, ma che avrebbe potuto cogliere altri importanti successi.
IL TRICOLORE DELL'88. «Quel titolo -dice Gavazzi - mi diede le stesse gioie del primo che vinsi nel ’78 sulle strade di casa. Anche allora il podio fu importante, perchè superai nell'ordine grandi campioni come Francesco Moser e Giuseppe Saronni».
Ci vuole descrivere il momento della volata di Imola?
«Nell'ultimo circuito di 5 km dell'Autodromo di Imola, il percorso era abbastanza ondulato ed anche quando dalla collina si scendeva verso Rivazza, la discesa era piuttosto difficile da affrontare. Le mie caratteristiche non sono mai state di velocista da ultimi cento metri, i miei successi sono arrivate spesso al termine di percorsi lunghi, nei quali altri velocisti arrivavano a fare la volata affaticati. In quella Coppa Placci la distanza era di oltre 275 chilometri: ebbi la capacità di mantenere alta l'andatura nel finale di gara e quando scattai lungo colsi leggermente di sorpresa Giuseppe Saronni. Lo superai di qualche metro iniziando lo sprint e conservai un leggero vantaggio fino alla riga di arrivo. Ivano Fanini mi venne subito incontro colmo di gioia».
Sempre con i colori Fanini, Pierino Gavazzi ha militato anche come direttore sportivo.
«Si, dopo essermi cimentato ad allenare squadre di dilettanti dal 2006 al 2009 tornai nel professionismo come diesse dell Amore & Vita Ms Donald's. Fu un trienno non molto positivo per i nostri colori con Ivan Quaranta, nostro elemento di punta che lasciò un po' a desiderare sul piano dei risultati».
Come definisce da dirigente sportivo Ivano Fanini?
«Un dirigente appassionato, capace, vulcanico e gran motivatore, che però ha pagato i troppo attacchi aI personaggi più influenti nel ciclismo».
E come giudica il ciclismo attuale?
«Oggi il ciclismo è cambiato rispetto a quando correvo io - conclude Pierino Gavazzi -. C'è una tecnologia più avanzata che sperimenta sempre nuovi metodi. Ai miei tempi si correva da febbraio a ottobre, dal Laigueglia al Lombardia, puntando a vincere sempre ed i più bravi si contendevano anche le vittorie meno importanti. Oggi un corridore mira al suo appuntamento stagionale e poi si concede magari un lungo rilassamento. Saronni, Moser, io ed altri litigavamo in gara ma appena finita tornavamo ad essere amici. Oggi i corridori vanno in camera con il tablet e lo smartphone».
da La Gazzetta di Lucca
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