IVANO FANINI. «VI RACCONTO IL MIO GINO BARTALI...»

INTERVISTA | 08/05/2020 | 17:15

Martedi 5 maggio ricorreva il ventennale della morte di Gino Bartali, uno fra i più grandi campioni dello sport italiano, non soltanto per aver rappresentato un'epoca assieme al rivale Fausto Coppi, ma anche per il suo coraggioso altruismo nella vita. L'ex campione di Ponte a Ema, più passa il tempo e più conserva il suo ricordo tramandato di generazione in generazione non soltanto per gli amanti del ciclismo. Nel corso della seconda guerra mondiale venne incontro agli ebrei trasportando in bicicletta documenti falsi per aiutarli ad avere una nuova identità, rischiando la fucilazione ma dimostrando un coraggio straordinario nel salvarne tanti dall'olocausto. Una guerra che lo allontanò dalle corse negli anni migliori privandolo di altri successi ma lasciando una grande eredità umana e di esempio sportivo. Fra i tanti incontri nel suo post carriera, quello professionale di direttore tecnico e uomo immagine della squadra professionistica fondata da Ivano Fanini, attuale patron di Amore & Vita-Prodir.


Fanini, proprio lui, con la sua passione ciclistica che parte da lontano, quando ancora ragazzino, vinceva, nelle categorie esordienti ed allievi, seguendo le orme e superandolo nei risultati suo fratello Michele recentemente scomparso. Riuscito a gestire lo stress di commerciante di auto cullava l'idea di fondare una squadra professionistica dopo i numerosi successi ottenuti nelle squadre dilettantistiche su strada e nel ciclocross con Ottavio Paccagnella e Nazzareno Berto. Si affacciò al professionismo portando a correre quando ormai era a fine carriera il pescagliese Olimpio Paolinelli nel 74, era l'era di Merckx, Gimondi e Fuente ma anche dell'avvento di Francesco Moser. Quindi nel 1984 fondò la Fanini Wurer proseguendo un percorso vincente con i danesi Jens Veggerby e Mads Pedersen, dopo che aveva padroneggiato fra i dilettanti con Kin Eriksen.


"Avevo l'ambizione - dice il Patron - di passare al professionismo trasmettendo ai corridori la mia voglia di vincere ma anche di non mollare mai e a conoscere la costanza, l'impegno e la fatica". Raccoglieva nel suo vocabolario, già 36 anni fa, frasi motivazionali da trasmettere agli atleti, facendo loro aumentare l'autostima e la voglia di vincere. Ingaggiato il lucchese Piero Pieroni come direttore sportivo, mancava alla squadra qualcosa a livello mediatico per dare maggiore visibilità, un personaggio conosciuto, che emanasse carisma e spargesse nell'aria fiducia. Così, grazie all'amicizia con Pieroni, fu convinto Gino Bartali, allora settantenne. Chi meglio di lui?. "Bartali era già amico di mio padre Lorenzo, suo grande tifoso, ed alle nostre cene familiari in Corte Fanini si univa a noi apprezzando la cucina di mia madre Livia". Intrecci travolgenti e sviluppi dipingevano in pochi attimi la passione, la stima e la sensazione che stava nascendo qualcosa di importante legato al nome di Segromigno, piccola frazione del territorio comunale di Capannori, fino ad allora conosciuto soltanto per il settore calzaturiero, ma che da li a poco tempo avrebbe amplificato progressivamente la divulgazione con il ciclismo.

LA GOLF BIANCA DI GINO. Da commerciante di auto Ivano Fanini non si è mai fatto vincere dalla tentazione di vendere la golf Bianca decappottabile che apparteneva al campione di Ponte a Ema. "Il ricordo è un frammento della nostra vita ed io non lo getterò mai, perchè quell'auto mi fa rimanere vivo il suo nome di un campione che ha dato le più belle emozioni da tifoso a mio padre e che ha segnato un'epoca di trionfi del ciclismo italiano e di imprese come quelle di rivincere Giro e Tour a distanza di dieci anni. Campioni così ne nasce uno ogni cinquanta anni ed anzi il suo erede, anche se il ciclismo di oggi è completamente cambiato, deve ancora nascere a distanza di 66 anni dal suo ritiro. Ecco perchè la sua auto appartiene da sempre ai miei ricordi più cari e non la venderei mai".

IL TRAIT D'UNION FRA GENERAZIONI. La mente del vulcanico Ivano Fanini è un ripostiglio capiente, è una vita di momenti lieti e di burrascose difficoltà. Ma quando si ricorda Gino Bartali procede a ruota libera. "L'eterno campione era solito passare da Segromigno, quando andava, assieme alla moglie Adriana, a trovare la figlia Bianca Maria sposata a Castelnuovo Garfagnana. Faceva una sosta salutando mio padre Lorenzo a cui donò la sua maglia gialla del Tour de France, conservata nella vecchia sede della mia società ciclistica. La sua fede cattolica, l'amore e la tolleranza, sono doti che lo hanno sempre ammirato. Quando era nella zona di Lunata, dove gestisco una concessionaria di auto, era solito fare visita al Santuario e pranzare con i frati ed andare a fare visita al più grande calzolaio del ciclismo mondiale: Luigi Colombini. Anche a lui faceva gli scarpini, come ai più grandi campioni di ciclismo successivi alla sua epoca. Quando divenne per una stagione direttore tecnico della mia squadra, io avevo 35 anni ed ho assunto nel tempo crescenti responsabilità amministrative non soltanto a livello commerciale ma anche ciclistico, dal momento che la mia squadra attuale Amore & Vita Prodir è la più datata del ciclismo internazionale e quegli incontri con Bartali mi sono stati utili come trait d'union fra la nuova generazione ansiosa di cimentarsi nella vita e il bagaglio di esperienza del passato".

Ma ecco altri racconti inediti nel ricordare Ginettaccio, come veniva bonariamente soprannominato dagli amici. "Iniziai un percorso pieno di incognite che poi con perseveranza ho tirato avanti sino ad oggi, avvalendomi delle capacità di mio figlio Cristian. Anche quando Bartali non faceva più parte del nostro quadro tecnico, stava a contatto con la mia società ciclistica, un mondo che lo ha sempre catturato e appassionato e continuava a coltivare la sua eterna passione dedicandoci attenzioni, d'altronde la mia squadra era spesso l'unica a livello professionistico in Toscana. Lui era solito dare consigli ai corridori sulle loro responsabilità, sulle loro aspettative e sui valori morali per lo sviluppo ciclistico. Saliva spesso sulla nostra ammiraglia e si univa alla squadra negli alberghi che ci ospitavano. La sua immagine dava più lustro anche alle mie squadre professionistiche. In due stagioni ne ho avute due: la Fanini Seven Up e la Fanini Pepsi Cola (88) e Polli-Fanini e Pepsi-Fanini (89). Anche a livello mediatico, Adriano De Zan, che giudico senza che nessuno dei suoi colleghi me ne voglia, il più grande telecronista di tutti i tempi per come faceva vivere la corsa, dava sempre risalto nelle sue telecronache alle mie squadre. Bartali aveva in simpatia Alessio Di Basco, uno dei corridori più forti di quegli anni, consigliandolo a livello di preparazione atletica, psicologica e tattica. Le nostre famiglie si incontravano spesso e divenni amico dei suoi figli Andrea e Luigi."

L'ATTENZONE PER LA SQUADRA MICHELA FANINI. Gino Bartali seguiva anche il ciclismo femminile. "Negli ultimi anni di vita - conclude Ivano Fanini - era spesso assieme a mio fratello Brunello, presidente della Michela Fanini campionessa straordinaria e precocentemente scomparsa nell'ottobre del ’94 a causa di un incidente stradale, dopo che aveva già vinto tante corse a livello internazionale, il campionato italiano su strada ed il Giro d'Italia. Le attenzioni di Bartali furono molto preziose per mio fratello. I due erano spesso insieme alle corse in giro per l'Italia. Un altro segnale di profonda amicizia verso le nostre famiglie, sfociata in una correlazione stretta tra empatia e altruismo." Ivano Fanini ha più volte espresso che dopo il coronavirus si augura che il ciclismo torni indietro di 50 anni. Bartali avrebbe detto: "L'è tutto da rifare!".

da La Gazzetta di Lucca a firma di Valter Nieri

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