Pauline Ferrand Prevot, campionessa di tutte le specialità del ciclismo, prende una posizione importante sul caso di Marion Sicot, la ciclista francese che ha giustitificato l'assunzione di Epo accusando il fatto di essere stata costretta da parte dei dirigenti della sua squadra. Un intervento delicato che, come dice in apertura la stessa Pauline, richiede concentrazione nella lettura.
Attenzione, la lettura di questo post richiede concentrazione, perché non vorrei che ciò che dico fosse frainteso, soprattutto perché l’argomento è sensibile. Ma siccome sono il tipo che dice quello che pensa, confesso che c'è qualcosa che mi mette a disagio nelle recenti rivelazioni di Marion Sicot sui motivi del suo doping. E' complicato ma provo a spiegarmi.
Se i fatti di molestie da parte dei vertici della sua squadra sono dimostrati - e sono oggetto di una richiesta d'inchiesta della Federazione francese di ciclismo all'UCI - allora c’è una sola cosa da sottolineare: una donna ha il diritto di dire no se una richiesta le sembra inappropriata. Non deve aver paura di rappresaglie, sportive o personali che siano. Questo è quello che penso e se necessario lo ripeterò.
Detto questo, quello che mi preme sottolienare è che, anche di fronte a spiegazioni estremamente gravi come queste, l’atleta rimane completamente responsabile delle sue azioni.
Richard Virenque è diventato la caricatura del ciclista drogato con il suo «l’ho fatto senza sapere, non di mia spontanea volontà», e qui non siamo lontani. Andare a vedere su internet per procurarsi l'EPO, comprarla, riceverla, trovare come farsi un'iniezione, negare, non è normale! E anche in questo caso mi spiace che la causa di queste azioni sia attribuita a qualcun altro.
Quale sportivo di alto livello non si è trovato in difficoltà almeno una volta, nel dubbio e nella sofferenza in un momento particolare della sua carriera? Ma non per questo si passa al doping! Non si può combattere il doping e non reagire di fronte a questa testimonianza!
Perché il doping non deve mai essere considerato una soluzione, senza questo non c'è più sport, più sponsor, più niente... E mi chiedo se non sia proprio perché Marion Sicot è una donna che il caso esca in un contesto delicato, che la mettiamo in questa posizione particolare. E questo mi fa arrabbiare!
Spesso mi viene chiesto di intervenire per rappresentare il ciclismo femminile, ma la mia rivendicazione è soprattutto quella di essere considerata un'atleta di alto livello, una sportiva, una persona che dedica la sua vita alla sua passione e ad offrirne la migliore espressione. Ma so che al tempo stesso devo accollarmi anche i falliment, stiamo parlando dei miei giochi di Rio, che sono stati il momento più gratificante e al tempo stesso più duro della mia vita da atleta...
Fin da bambina ho lottato contro l’idea di sesso debole e penso che una testimonianza coe quella di Marion possa far passare le cicliste come vittime. Bene, io non mi riconosco affatto in questo! Abbiamo il diritto di assumerci la responsabilità di quello che facciamo, che sia giusto o sbagliato. Quando riusciremo tutte a farlo, ad assumerci il merito dei nostri successi e il demerito dei nostri fallimenti, allora potremo parlare davvero di parità e dimostrare quanto siamo forti. All'indomani della Giornata internazionale dei diritti della donna, penso che questo potrebbe essere davvero un passo importante.
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