Esistono molte storie legate al ciclismo, di vincitori e di sconfitti, di gregari e di capitani, nel corso della mia vita ne ho sentite tante, eppure quella riguardante Ignazio Paleari ha per me un posto particolare.
Ignazio Paleari, nato il 13 febbraio del 1954, è stato un ciclista professionista italiano dal 1977 al 1980. Non l’ho mai visto correre, dopo tutto io sono nata circa vent’anni dopo che aveva smesso, eppure la sua carriera l’ho vissuta come se fossi lì in quei giorni, frutto delle storie che mio padre mi raccontava da bambina.
Mio padre lo aveva conosciuto un po’ per caso in occasione della sfida fra oratori dello stesso comune: papà era di Besana, mentre Paleari di Montesiro, due fazioni opposte in forte rivalità, eppure in qualche modo erano diventati amici. Dopo essersi persi di vista si erano ritrovati molti anni dopo quando Paleari aveva iniziato a correre a piedi per la Daini di Carate, spesso si incontravano per strada e condividevano parte del tragitto di allenamento. Un bel giorno però Ignazio aveva avuto per mio papà un’importante novità: aveva deciso di cambiare sport, voleva provare qualcosa di nuovo ed era emozionato all’idea. Fu in quel modo che Ignazio Paleari iniziò la sua avventura nel mondo del ciclismo.
Avevo circa sei anni quando mio padre mi disse che conosceva un uomo che aveva preso parte ad un Tour de France, a quei tempi ero solo una piccola appassionata di ciclismo che cercava di prendere più informazioni possibili riguardo a un mondo che conoscevo ancora troppo poco. Ignazio Paleari aveva raggiunto la gloria nella categoria dei dilettanti quando correva per la Gs Polli Arredamenti di Lissone, aveva sfidato Giuseppe Saronni a suon di volate. Erano entrambi velocisti e lottavano in ogni modo concesso a causa dei loro caratteri sanguigni arrivando anche a bisticci memorabili pur di contendersi una vittoria. Era passato professionista nel 1977 e la sua attività lo aveva portato a partecipare a Giro, Tour e Vuelta.
Nel corso della sua carriera professionistica aveva vinto soltanto la classifica sprint nella Vuelta a Levante, un trionfo minore di cui pochi si ricordano. Alla me bambina però non interessava il numero delle vittorie, nemmeno se ne avesse fatte o no, a colpirmi fu proprio la figura di Paleari. Non l’avevo mai visto correre, nemmeno uno straccio di filmato, rimanevo appesa al racconto di mio padre e quello mi sembrava bastare.
Sentire quella storia mi dava l’impressione di avere a che fare con qualcosa di fenomenale, attraverso quelle parole mi sembrava di accedere ad una conoscenza più grande, il fatto che proprio uno dei miei genitori fosse amico di uno di quegli eroi in bicicletta mi rese quel mondo magico un po’ più reale. Grazie ai racconti di Ignazio Paleari conobbi il Tour, una corsa che mi sembrava così diversa e così lontana dal Giro d’Italia che avevo visto passare sotto casa. Mi appassionai a quella gara a tappe che poco capivo, se per gli altri c’era la leggenda di Pantani a tenere viva l’emozione, per me c’era quella del compaesano di mio padre. Vista con gli occhi da adulta mi sembra un paragone azzardato, ma per me bambina avere quella conoscenza mi faceva sentire speciale e mi dava l’impressione che in qualche modo a quella corsa io c’ero stata. Iniziai a coltivare il sogno di incontrarlo, per il momento però mi bastava passare accanto a casa sua, strada obbligata per andare a trovare mia nonna, con mio padre che non smetteva di ricordarmi che proprio lì abitava il suo amico campione.
Incontrai per la prima volta Ignazio Paleari quando avevo circa dieci anni, forse ero nella piazza di Besana o al mercato, sinceramente non saprei dare informazioni precise. Ciò che mi ricordo con esattezza è invece l’impressione che mi fece quell’uomo che fino a quel momento avevo conosciuto solo attraverso dei racconti. In qualche modo nella mia mente da bambina fantasiosa avevo elaborato l’assurda certezza e quella leggenda di cui avevo sentito a lungo parlare non potesse avere fattezze umane, invece era lì davanti a me, in carne ed ossa, un uomo quasi comune.
Fu visibilmente emozionato quando gli dissi che in qualche modo ero cresciuta accompagnata dal suo mito e lui di risposta mi regalò un nuovo racconto: quando alla prima tappa del Tour a cui prese parte si ritrovava alla griglia di partenza, fosse incerto sul da farsi perché divorato dall’emozione. Dopo quell’incontro ce ne furono altri, lo trovavamo spesso per le strade del paese, era solito fare lunghe camminate in compagnia della moglie, ogni volta era un’occasione per parlare del più e del meno, discorsi da grandi che poco alla volta iniziavo a capire.
Discutevamo delle ultime corse disputate, delle novità del mondo del ciclismo e degli atleti più forti del momento. Nell’anno del centenario del Tour ricevette l’invito per recarsi a Parigi per la tappa finale con arrivo sugli Champs Elysees, un’occasione per mettere insieme tutti coloro che avevano preso parte alla Grand Boucle. Paleari era indeciso sul da farsi, avrebbe voluto fare un viaggio in Francia e rivedere i vecchi avversari, ma riteneva anche di sentirsi in qualche modo fuori luogo in mezzo a gente come Merckx e ad Hinault. Non ho mai saputo se ci sia poi andato oppure no.
È pomeriggio inoltrato quando vengo a conoscenza che Ignazio Paleari è venuto a mancare. Di fianco alla tristezza di mio padre provo un senso di vuoto assoluto. Ho la sensazione che se ne sia andato non solo un uomo, ma una parte di quella storia magica che è il ciclismo. Il nome di Paleari rimarrà comunque scritto negli annali, in statistiche che raccontano l’evoluzione di questo sport menzionando la sua unica vittoria da professionista in una classifica a punti; eppure io lo ricorderò per sempre come una leggenda, una parte di quella favola della buona notte che amavo ascoltare.
Ignazio Paleari è stato un uomo comune, un ciclista che per alcuni anni si è avventurato nel mondo dei pedali, ma se oggi mi ritrovo a scrivere di ciclismo è anche grazie a quella storia più volte ripetuta che lo vedeva come protagonista.
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