Non è un mondiale come gli altri. Prima di tutto per la distanza: 285 chilometri non sono per tutti. Poi, per le difficoltà del circuito finale, 14 chilometri vallonati da ripetere sette volte: a complicarlo, oltre alle due brevi salite e all’arrivo in leggera ascesa di Harrogate, saranno anche la strada stretta e probabilmente la pioggia, che nello Yorkshire è una regola e non l’eccezione. ‘Duro e nervoso’ sono gli aggettivi scelti per questo tracciato dal ct Cassani, al sesto assalto iridato della sua gestione: fin qui ha raccolto qualche elogio per il comportamento della squadra, ma zero medaglie. Sarà difficile riuscirci anche in questa prova di oltre tremila metri di dislivello che strizza l’occhio a chi ha grandi doti di fondo, perché rispetto ad altri Paesi la nostra Nazionale manca di un fenomeno vero nelle corse di un giorno e soprattutto pesca in un bacino sempre più ristretto di corridori. Ma il bello dell’Italia è quello di saper tirare fuori il meglio proprio nei momenti difficili. Ecco le dieci facce che domenica sera hanno più chance di spuntare sopra l’arcobaleno.
Julian Alaphilippe. Vince perché sta vivendo un anno magico, perché a una primavera strepitosa ha aggiunto un Tour da primattore, perché un tracciato così stuzzica i grandi cacciatori di classiche come lui. Non vince perché la lunghezza della sua stagione in una corsa così lunga potrebbe presentargli il conto.
Philippe Gilbert. Vince perché è il miglior cacciatore di classiche in circolazione, perché allenandosi per il Mondiale ha vinto due splendide tappe alla Vuelta, perché quando servono fondo ed esperienza non ha rivali. Non vince perché il Belgio ha uno squadrone, ma non la forza di esser squadra.
Alexej Lutsenko. Vince perché può inventarsi di tutto, perché non ha paura di nulla e di nessuno, perché nelle premondiali ha fatto le prove generali vincendo Sabatini e Pantani con attacchi e rimonte da lontanissimo. Non vince perché nel decidere la strategia di corsa non è un drago.
Alexander Kristoff. Vince perché ha le classiche nel repertorio, perché quando va forte distanza e percorso per lui sono un trascurabile dettaglio, perché nella prova iridata è finito spesso a tiro di podio. Non vince perché chi vorrà far selezione cercherà in tutti i modi di lasciarlo per strada prima dello sprint.
Michael Matthews. Vince perché è uomo da classiche vere, perché sui percorsi nervosi è difficile da staccare, perché per essere un campione non puoi vincere soltanto le tappe nei grandi giri. Non vince perché quando il gioco si fa duro, ce n’è sempre almeno uno più duro di lui.
Peter Sagan. Vince perché il mondiale è sempre la sua corsa, perché non teme né distanza né percorso, perché dopo una primavera complicata può regalarsi un autunno radioso. Non vince perché in questa stagione, come capita anche ai migliori, è stato spesso bello ma non bellissimo.
Matteo Trentin. Vince perché non teme distanze così impegnative, perché il clima del Nord anziché frenarlo lo stimola, perché ha carte da giocare sia in caso di fuga che di decisione allo sprint. Non vince perché quando si presenta pronto al punto giusto gliene capita sempre una.
Alejandro Valverde. Vince perché resta il peggior cliente nelle corse di un giorno, perché in dodici apparizioni mondiali è finito sette volte sul podio, perché la Spagna è ancora e soprattutto lui. Non vince perché la Vuelta gli ha tolto energie e perché dopo l’anno meno vincente in carriera non vede l’ora di cambiar maglia.
Greg Van Avermaet. Vince perché su percorsi del genere sa trovare la chiave giusta, perché ha fatto del mondiale il suo obiettivo principale, perché deve sistemare una stagione in cui non ha lasciato troppi segni. Non vince perché, pur avendolo come compagno, deve arrendersi all’irresistibile ascesa di Evenepoel.
Mathieu Van der Poel. Vince perché sta emergendo in modo straripante, perché nella sua marcia di avvicinamento è apparso di una taglia superiore agli avversari, perché l’idea di abbinare il titolo mondiale su strada a quello del ciclocross è uno stimolo in più. Non vince perché su distanze così è ancora un’incognita.
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