Sette arrivi in salita, compresi quelle delle cronometro di San Luca a Bologna e di San Marino, una settimana finale da brividi per le montagne che propone, una parte iniziale nella quale l’unica difficoltà sarà evitare distrazioni: ecco il menu che il Giro d’Italia numero 102 propone ad un manipolo di favoriti che non si vedeva da anni. Manca l’ultimo vincitore Froome, concentrato sulla cinquina record al Tour, non potrà esserci il campione del mondo Valverde per via di un incidente che ha reso maledetta la sua pallida primavera, una caduta ha tolto dalla scena anche Bernal, ma gli altri ci sono tutti, pronti a dare alla corsa rosa quel senso di incertezza che la rende affascinante. Si va da Bologna a Verona, celebrando anniversari (Leonardo da Vinci, Montanelli, Padre Pio, Fausto Coppi) e ricordando momenti drammatici (il decennale del terremoto a L’Aquila): ecco le dieci facce che dall’11 maggio al 2 giugno promettono di regalare spettacolo.
Vincenzo Nibali. Vince perchè quando punta un obiettivo difficilmente lo sbaglia, perché vuole il terzo successo per eguagliare grandissimi come Bartali, Magni, Gimondi e Hinault, perché alla sua età nessuno c’è riuscito. Non vince perché rispetto ad altri la crono può pesargli.
Tom Dumoulin. Vince perché due anni fa l’ha fatto e lo scorso anno c’è andato vicino, perché un anno fa è stato secondo al Giro e secondo al Tour, perché va fortissimo a crono e pure in salita. Non vince perché non sempre è impeccabile dal punto di vista strategico.
Primoz Roglic. Vince perché sfiorando il podio al Tour si è convinto di poterlo fare, perché ha vinto tutte le brevi corse a tappe in stagione, perché nelle crono e in salita viaggia con lo stesso passo. Non vince perché in tre settimane di corsa bisogna esser bravi a non sprecare troppe energie.
Simon Yates. Vince perché è maturo per farlo, perché alla Vuelta ha capito come si amministra una grande corsa a tappe, perché in salita può riprendersi ciò che perde a cronometro. Non vince perché rispetto alla Spagna lo aspetta una concorrenza più numerosa e tosta.
Miguel Angel Lopez. Vince perchè in salita è tra i più forti, perché esser diventato papà gli darà più motivazioni, perché non chiudi Giro e Vuelta sul podio nello stesso anno se non sei qualcuno. Non vince perché i peccati di gioventù, come le distrazioni, sono il suo punto debole.
Mikel Landa. Vince perché al Giro è già salito sul podio, perché in salita non teme nessuno, perché poter correre da capitano unico è una sensazione che ha provato poche volte. Non vince perché trova sempre una giornata per complicarsi la vita e la classifica.
Bob Jungels. Vince perché nei due precedenti ha sempre chiuso nei dieci, perché si è preparato apposta, perché è bravo a cronometro ed è capace di difendersi in salita. Non vince perché, pur sapendo fare bene molte cose, trova sempre qualcuno più specializzato di lui.
Davide Formolo. Vince perché a 26 anni ha l’età per farlo, perché ha cambiato modo di allenarsi, perché ha dato un grande segnale alla Liegi e prima o poi un italiano dietro a Nibali deve spuntare. Non vince perché quel centesimo che manca per fare l’euro non l’ha ancora trovato.
Rafa Majka. Vince perché i tre Giri che ha corso li ha chiusi tutti tra il quinto e il settimo posto, perché non può sempre accontentarsi di belle giornate, perché le salitone italiane le conosce tutte. Non vince perché a trent’anni non si è ancora abituato ad un ruolo da primattore.
Richard Carapaz. Vince perché un anno fa è arrivato in scia a Froome, Dumoulin e Lopez, perché non lo considera nessuno, perché sta benone e sulle salite dure sa farsi rispettare. Non vince perché la squadra dovrà proteggere Landa e il suo compito principale sarà aiutare.
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