“Smetto sennò li mando tutti a casa”. Non era vero, ma con la forza di questa battuta nascondeva la debolezza – un misto di commozione, dispiacere e già nostalgia - della sua decisione, quella di mollare il ciclismo per il lavoro. Ma la verità è che lui, il ciclismo, non lo ha mai mollato.
Bruno Carraro è l’artefice del Giro d’Italia a Santa Maria di Sala, il paese di Toni Bevilacqua, i fratelli Alfredo e Arturo Sabbadin, Mario Vallotto, Attilio Benfatto e Chiara Pierobon. Ha cominciato con un passaggio, ha continuato con un traguardo volante, stavolta si è superato oltre qualsiasi più rosea (trattandosi del Giro) speranza con l’arrivo della diciottesima tappa, la Valdaora/Olang-Santa Maria di Sala, 222 chilometri, giovedì 30 maggio, finale piatto per velocisti. “Ci ha martellato – ha confessato Stefano Allocchio, direttore della Corsa Rosa – fino a sfinirci”.
Dodici vittorie da allievo, Carraro smaniava per il ciclismo: dal Veneto alla Lombardia (per il Cittadella di Como), una passione trasformatasi in innamoramento e solidificatasi in amore. Ha pedalato con Fausto Coppi: “Prima del Giro di Lombardia 1956. Davanti i professionisti: Coppi, Magni, Piazza, Aureggi… Dietro un dilettante: Peppino Dante. Poi gli allievi: Pifferi, Fornoni, Cappelletti, io… Pusiano, il cimitero, e una visione: un albero di fichi neri, gli ultimi a maturare. Piedi a terra, giù dalle bici, tutti fermi: rifornimento”. Ha salvato Gino Bartali: “Tre anni prima, il 18 ottobre 1953, a Cermenate, nel Comasco. Le dieci e un quarto. Uscivo dal dentista, che era un medico di famiglia spiccio: la sua teoria, e anche la sua pratica, era ‘via il dente via il dolore’, senza antibiotici e senza anestesia. Un incidente all’incrocio tra la statale dei Giovi e la strada da Saronno. Una Fiat 1100 che non rispettò lo stop, e una Lancia Aurelia finita nel fosso. Mi precipitai. Tre persone imprigionate: dietro, il corridore Erminio Leoni, il massaggiatore Natalino Fossati e Dino Ravazzini, e davanti, al posto di guida, a destra, l’ingegnere Giuseppe Fenaroli, fratello di Giovanni, quello del caso – il delitto di sua moglie - Fenaroli. Proiettato fuori dall’auto, disteso sul prato. Fu Augusto Introzzi, un ex corridore, che proprio lì gestiva un distributore di benzina Esso, a esclamare: ‘E’ Bartali’. Lo caricammo su una Giardinetta, destinazione l’ospedale di Cantù. Poi fu trasferito al San Camillo a Milano”. Bartali, “fratture delle apofisi trasverse della prima e seconda vertebra lombare”, non perse mai conoscenza: “Ci è andata male – gracchiò – ma poteva andar peggio”.
Ottantuno anni, industriale nella distribuzione di bevande e acque minerali, presidente onorario del Gruppo sportivo Madonna del Ghisallo e componente dell’Associazione nazionale atleti olimpici azzurri d’Italia, sempre pronto e presente nel territorio (la foto lo ritrae alla mostra di bici antiche organizzata da Ivano Renosto per la corsa per juniores alla Rotonda di Badoere), il sismico Carraro è in eterna fibrillazione. In attesa dei corridori, ha organizzato un concerto lirico, il 25 maggio, a Villa Farsetti, con il mezzo soprano Chiara Angella e il baritono Silvio Zanon.
Morale: smesso di correre sennò li avrebbe mandati tutti a casa, adesso Carraro ha convinto tutti – tutti quelli del Giro d’Italia, cioè una mondovisione - ad andare a casa sua.
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