Meno nobile come tradizione rispetto a Fiandre e Liegi, più corta nella misura (195 chilometri) e di conseguenza nelle difficoltà, la Freccia Vallone resta comunque una classica di tutto rispetto: non solo ha un albo d’oro fra i più ricchi, ma è anche l’unica insieme al giro dell’Emilia a proporre un arrivo in cima ad uno strappo. Sul muro di Huy, un chilometro che in certi tratti tocca pendenze del 20 per cento, si candideranno in tanti perché anche l’edizione numero 83 della corsa regala prestigio al vincitore: per qualcuno sarà la prova generale in vista della Liegi, per molti l’occasione di metter dritta la stagione. Ampia la scelta del possibile padrone: ecco le dieci facce che più delle altre hanno chance di sorridere.
Julian Alaphilippe. Vince perché l’ha fatto un anno fa, perché su finali del genere gli stanno dietro in pochi, perché a spingerlo è la rabbia per un’Amstel buttata via quando sembrava abbondantemente sua. Non vince perché va forte da febbraio e la spia della riserva comincia a lampeggiare.
Romain Bardet. Vince perché quando si presenta alle classiche lo fa puntando al risultato, perché sugli strappi ha uno spunto adatto, perché vuole provarsi in vista della Liegi. Non vince perché un chilometro di salita, per quanto duro, è un terreno troppo stretto per uno come lui.
Alessandro De Marchi. Vince perché all’Amstel è arrivato davanti pur correndo da aiutante, perché la squadra lo ha promosso capitano, perché ha già vinto l’Emilia che ha un finale come questo. Non vince perché rispetto a tanti favoriti gli manca la fucilata che fa la differenza.
Davide Formolo. Vince perché nonostante punti ai grandi giri nelle classiche sa fare meglio, perché è in salute, perché può contare sulla spinta morale di un gregario chiamato Sagan. Non vince perché, quando promette di avere la giornata giusta, il più delle volte non mantiene.
Dan Martin. Vince perché sta tornando ai suoi livelli, perché in tutta la campagna del Nord di occasioni ha solo questa e quella di domenica, perché su questo podio è finito tre volte senza mai far centro. Non vince perché sulla rampa di Huy trova sempre uno più esplosivo di lui.
Maximilian Schachmann. Vince perché è in un momento di forma esagerata, perché ha corso un’Amstel tutta d’attacco, perché quando stai bene con il fisico anche la testa si convince. Non vince perché un conto è scattare su pendenze impegnative, un altro è riuscirci su pareti verticali.
Dylan Teuns. Vince perché è una corsa che gli piace, perché un segnale in vista della Liegi deve pur darlo, perché fra lui e Wellens quest’anno nelle classiche il belga migliore nelle classiche resta… il vecchio Gilbert. Non vince perché con la forma dell’Amstel non si va troppo lontano.
Diego Ulissi. Vince perché ha le qualità adatte per affrontare un finale così, perché in questa corsa è rimasto spesso a contatto con i migliori, perché è una delle ultime occasioni per uscire dall’anonimato. Non vince perchè corre in aiuto a Dan Martin e potrebbe non avere spazio.
Adam Yates. Vince perché è pronto al punto giusto, perché nelle corse di preparazione è apparso a livello degli altri favoriti, perché su questi arrivi gli bastano pochi metri per fare la differenza. Non vince perché nelle corse al Nord non ha mai regalato una giornata di quelle da ricordare.
Alejandro Valverde. Vince perché nelle Ardenne si sente come a casa, perché in questo albo d’oro è l’unico ad esserci finito cinque volte, perché delle ultime cinque edizioni ne ha vinte quattro di fila e in una ha fatto secondo. Non vince perché la testa è già concentrata su un’altra cinquina, domenica a Liegi.
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