Del trittico di classiche che conclude la campagna del Nord, l’Amstel è la meno nobile: rispetto alla Freccia Vallone e ancor di più alla Liegi, la corsa d’Olanda ha meno tradizione, avendo da poco superato il mezzo secolo di vita. Non per questo è meno ambita delle altre: vincerla è pur sempre un vanto, soprattutto per gli atleti di casa, incoraggiati da un pubblico da vera e propria festa nazionale. Dello spartito abituale, immutato nei chilometri (265,7) e nelle cotes da affrontare (35, con le più impegnative concentrate nei 40 chilometri conclusivi), è stata cambiata la partenza: dopo vent’anni, la corsa che deve il suo nome ad una famosa birra non scatterà più dalla piazza del mercato di Maastricht, ma da una piazza più spaziosa. Confermato, invece, il finale, modificato un paio di anni fa: il Cauberg, che sta alla corsa come il Poggio alla Sanremo, non è più l’esame decisivo, ma si affronta a 17 chilometri dal traguardo, preceduto dal Keutemberg che con la sua lunghezza (quasi due chilometri al 7 per cento) spaventa quasi di più. Non una giornata riposante, insomma, e meno ancora potrebbe renderla il vento, non inusuale compagno di questa avventura: ecco le dodici facce che sulle stradine olandesi potrebbero rendersi speciale questa Pasqua.
Julian Alaphilippe. Vince perché la pausa dopo la Sanremo gli ha fatto bene, perché la caduta ai Paesi Baschi è uno sbiadito ricordo, perché di tanti podi già conquistati questo gli manca. Non vince perché ha dato il meglio di sé il mese scorso e tanti suoi avversari sono saliti di livello.
Alberto Bettiol. Vince perché si è goduto il giusto il trionfo al Fiandre, perchè queste sono le corse che preferisce, perché non è il tipo da accontentarsi adesso che ha scoperto come si fa a vincere. Non vince perché d’ora in poi, quando metterà il naso fuori dal gruppo, lo marcheranno stretto.
Sonny Colbrelli. Vince perché non c’è classica più adatta a lui, perché una volta sul podio si è già arrampicato, perché vuole evitare di chiudere la campagna del Nord senza lasciare il segno. Non vince perché rispetto ai fuoriclasse che deve sfidare gli manca quel centesimo che serve a fare l’euro.
Jakob Fuglsang. Vince perché sta andando come un treno, perché negli ultimi due mesi ha raccolto meno di quel che meritava, perché su percorsi del genere va a nozze. Non vince perché, se il suo compagno Lutsenko mostrerà di essere in giornata buona, sarà il primo a sacrificarsi per dargli una mano.
Enrico Gasparotto. Vince perché è l’unico italiano ad aver conquistato due Amstel, perché nell’ultimo decennio sul podio c’è salito quattro volte, perché a 37 anni ha ancora voglia di stupire. Non vince perché è finito in una squadra dove ci sono Valgren e Kreuziger, altri due che sanno bene come si conquista l’Amstel.
Philippe Gilbert. Vince perché quando sta bene non si nega nulla, perché ha appena arricchito la collezione di classiche con la Rubè, perché su questo traguardo ha già dettato legge quattro volte. Non vince perché qui non deve dimostrare nulla ed ha accanto compagni che possono fare il vuoto.
Michael Kwiatkowski. Vince perché fa parte del club di chi l’ha già fatto, perché sembra migliorato rispetto al mese scorso, perché sono le ultime uscite in maglia Sky prima del cambio di sponsor a fine mese. Non vince perché essere ancora a digiuno di successi profuma di annata storta.
Michael Matthews. Vince perché questa corsa gli sta come un vestito di misura. perché nell’ultimo periodo è lievitato nei tempi giusti, perché si sente finalmente pronto per una classica di peso. Non vince perché molti dei favoriti faranno di tutto per lasciarlo per strada prima del traguardo.
Peter Sagan. Vince perché è uno dei pochi albi d’oro dove non figura, perché fin qui è andato bene ma non benissimo, perché non essere ancora salito su un podio nelle classiche un po’ gli pesa. Non vince perché in tutte le corse che contavano la luce gli si è spenta sempre sul più bello.
Maximilian Schachmann. Vince perché gli riesce tutto facile, perché l’ha già fatto cinque volte in questa stagione, perché non è di quelli che si smarrisce sugli strappi. Non vince perché se il suo capitano Sagan imbrocca la giornata giusta non avrà tanta libertà d’azione.
Alejandro Valverde. Vince perché è una corsa di quelle fatte per lui, perché l’ha sfiorata due volte senza mai conquistarla, perché ha voglia di festeggiare un successo che conta con l’arcobaleno indosso. Non vince perché a 38 anni ha imparato a risparmiare energie e proverà a tenerle per l’amata Liegi.
Mathieu Van der Poel. Vince perché è in stato di grazia, perché è maturo per entrare in un albo d’oro che conta, perché correndo con la maglia di campione olandese avrà un intero Paese a spingerlo. Non vince perchè in classiche così l’esuberanza finisce per consumarti più dei rivali.
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