Diverso da tutti gli altri ciclisti per l’eleganza che ancora l’accompagna nei suoi scintillanti 81 anni, Vittorio Adorni entra nella Hall of fame del Giro d’Italia alla sua maniera: degli italiani che già fanno parte di questa ‘casa della gloria’, è il primo a ricevere il trofeo ‘Senza fine’ a casa sua. A Parma, l’uomo che nel ciclismo è stato campione ma anche opinionista televisivo, giornalista, dirigente internazionale e adesso ambasciatore, può così godersi questo bel momento in mezzo alla sua splendida famiglia, ai vecchi gregari e agli amici di sempre. Più che una cerimonia, è una festa dal sapore familiare, secondo uno stile che ha reso Adorni un esemplare unico: forse è questo a rendere speciale la giornata.
Per chi ha girato il mondo incontrando sovrani e papi, diventando amico di stelle dello spettacolo e di personaggi illustri, la ‘bella gente’ è proprio questa che siede nella sala dell’hotel de la Ville, ricavato nell’antica sede della Barilla dove Adorni, quando ancora doveva invadere molti albi d’oro, faceva l’operaio. A scoprire che era un ciclista fu il capostipite della più nota famiglia industriale di Parma, Pietro, vedendolo entrare in maglietta e pantaloncini in azienda in leggero ritardo sull’orario di lavoro: ‘Gli spiegai che mi allenavo prima di presentarmi in fabbrica e lui mi disse: Vittorio, se la prenda pure comoda quando deve pedalare. Vorrà dire che le ore di ritardo le recupererà con calma durante la settimana’.
Accanto a lui sul palco ci sono i vertici della Gazzetta, vale a dire il direttore Andrea Monti e il suo vice Pier Bergonzi, in platea i fedelissimi Armani, Casalini, Gualazzini, altri ex ciclisti come Torelli, ma non per questo la consegna di un riconoscimento bellissimo per forma e significato acquista la solennità del rito: Adorni parla come se fosse davanti a un caminetto, come fa ogni volta che prende la parola, faticando sempre a restituirla come succede a chi si accorge che ad ascoltarlo non c’è un uditorio annoiato, ma incantato. ‘Ho avuto una grandissima fortuna: poter fare la cosa che amavo di più, cioè andare in bici’, comincia il campione parmense prima di ricordare come si sia innamorato del ciclismo ‘seguendo il mio idolo Coppi nelle cronache alla radio: quando vinceva, correvo fuori dal bar urlando che aveva vinto’. E della prima volta che andò in bici con gli amici, ‘usando una bici di mio padre che era più basso di me: mi portarono da Parma alla Cisa, al ritorno ero cotto, ma lì decisi che avrei fatto il ciclista’. E della prima gara, la Reggio-Casina a cronometro: ‘tornai a casa senza sapere che avevo vinto, lo scoprii dal giornale. Così come anni dopo avrei scoperto che l’undicesimo arrivato era Romano Prodi, l’ex premier’. E di quando al Mondiale di Imola, passando davanti al traguardo ‘mia moglie Vitaliana mi fece un gesto come per chiedermi cosa stessi facendo’ visto che era andata via una fuga e al giro dopo ‘quando andai in fuga io, mi rifece lo stesso gesto: le feci un gesto per dirle che non le andava mai bene nulla’. E dell’amicizia con Anquetil, ‘che mi tolsi lo sfizio di battere a cronometro nel ’66 qui nella mia Parma’, e con Van Looy ‘che era meno viveur del francese, ma uno inquadrato e serio’. E via così a confermare che quando Adorni si ripercorre non è mai cronistoria, ma racconto vero.
Risate e applausi, senza indugiare nella nostalgia. Nemmeno quando lo salutano due ex compagni, il parmense Poletti, che abitava di fronte al suo portone, e il reggiano Partesotti (‘ho pianto per Vittorio’, confessa), né l’ultimo della dinastia dei Salvarani, Mario, che dipinge l’ex capitano come ‘un ciclista moderno, che vedeva le cose diversamente da tutti: voleva che il ciclismo andasse oltre la corsa, Vittorio ha cambiato marcia al nostro sport’. Ma Adorni nella Hall of fame ci va per il Giro conquistato nel ’65, in ritardo di tre anni rispetto a quello che ‘quarant’anni dopo, senza che glielo chiedessi, Magni confessò pubblicamente di avermi fatto perdere, fermandomi in cima a una salita per aspettare Carlesi: per non rischiare, il mio lo vinsi con quasi 12 minuti di vantaggio…’, sorride Adorni, ricordando che la fatica maggiore nella corsa rosa è stata dire no a Zavoli (‘Mi voleva sempre al Processo alla tappa, ogni volta che provavo a tornare in albergo c’era un addetto Rai che mi inseguiva per portarmi sul palco’). Dell’edizione vinta, regala un aneddoto: nel tappone di Medesimo, 282 chilometri con 4 gran premi della montagna prima dell’arrivo dove ipotecò il successo finale, venne affiancato da Bruno Raschi, ospite dell’auto del patron Torriani, che gli chiese cosa stesse pensando. ‘A Coppi e alle sue imprese’, rispose Adorni. Con quella che stava realizzando, si guadagnò il titolo ’Il più bel rosa dopo Coppi’, uno dei suoi trofei migliori.
foto di Carlo Monguzzi
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.