Giro delle Marche in Rosa. Tre tappe, da oggi a venerdì. Pronti, via, ci sono già cinque vincitrici: Glory Odiase, Rosemary Marcus, Ese Ukpeseraye, Tombrapa Grikpa e Adejoke Durogbade. Le cinque cicliste nigeriane. E’ la prima volta che un corridore nigeriano corre in Italia.
Il ciclismo è nato in Nigeria negli anni Cinquanta. Le origini sono misteriose: pare che la prima società sia sorta nel 1956 e battezzata Armstrong Cycling Club, senza alcun riferimento – ovviamente – al texano Lance, ma con l’aiuto di reverendi, principi e capi; che la prima corsa sia stata organizzata dalla Raleigh e disputata nel 1962 a Lagos sulla distanza di 20 miglia (32 km); che la prima associazione, e poi federazione, sia stata fondata nel 1972. Oggi il presidente della Cycling Federation of Nigeria è un italiano, si chiama Giandomenico Massari, è di Ancona, ha 63 anni, da 26 abita in Nigeria e da nove ha anche la cittadinanza nigeriana.
Tutto cominciò, anzi, ricominciò nel 2004. Massari: “In un supermercato trovai due biciclette, una era da corsa, ma di vecchio tipo, con il cambio al telaio, l’altra una mountain bike. Fu una folgorazione. Là il ciclismo sembrava morto. Si organizzò un primo allenamento con una squadra locale, poi si fissò un’uscita ogni domenica mattina, poi si reclutarono ragazzi e anche ragazze, poi si allestì una corsa, una sola corsa l’anno, poi si cercarono contatti e si stabilirono legami fra le città di Abuja, la capitale, un milione e mezzo di abitanti, Port Harcourt, due milioni, e Lagos, 10 milioni, ma 15 se si considerano anche i villaggi vicini. La Nigeria ha 190 milioni di abitanti, tre volte l’Italia, in un territorio tre volte più grande”.
Lo sport, in Nigeria è ancora un privilegio, un sogno, un traguardo. Massari: “Calcio, basket, boxe. Il ciclismo sta diffondendosi, ma è più costoso per via della bici e dell’abbigliamento. Stiamo cercando di allargare i nostri orizzonti. Ora la Federazione conta su 150-200 tra giovani ed elite e su 120 donne, senza considerare amatori e veterani, ma un censimento esatto non è mai stato fatto. A Port Harcourt si tiene un criterium al mese, uno ogni due mesi a Lagos, uno ogni tre mesi a Abuja, tenendo conto che si corre nella stagione secca, da ottobre ad aprile, poi con la stagione delle piogge diventa tutto più difficile. Abbiamo mandato le nostre atlete ai centri specializzati dell’Uci e spero di inserirle, prima o poi, in qualche squadra europea. Contiamo anche su un velodromo al coperto, con la pista di 350 metri e le tribune per 3mila persone, ultimato nel 2003 ma mai certificato e mai entrato in funzione. Intanto stiamo pensando di organizzare un Giro della Nigeria, così come si fa in quasi tutti gli stati africani, e di creare un evento nel Nord-Est, nel Nord-Ovest e nel Centro-Nord. Più che di sicurezza, il nostro problema è la mancanza di soldi e sponsor”.
Eppure i risultati sono già arrivati. Massari: “La medaglia d’oro ai Giochi panafricani 2015, nella cronosquadre, e la medaglia d’argento nell’individuale, sempre con le donne. Gareggiamo più all’estero che in patria: Togo, Benin, Etiopia, Senegal, Burkina Faso… Ai Mondiali di Innsbruck, peccato, non ci siamo qualificati. Qui nel Giro delle Marche in Rosa l’importante è partecipare e sarà, soprattutto, arrivare. Questo è un viaggio, un’esperienza, un’occasione. Per noi anche l’occasione di mostrarci al mondo, allacciare contatti, stringere accordi. Attraverso una nostra fondazione, la Colnago ci ha fornito una quarantina di biciclette a prezzi speciali, ma abbiamo bisogno di tutto”. Un bell’aiuto glielo dà l’ex azzurro Andrea Tonti, da cinque anni consulente della Federazione nigeriana e fautore dell’iscrizione alla corsa marchigiana: “Sono contento della loro crescita ciclistica, sia dal punto di vista sportivo sia professionale”. Ancora Massari: “Perché la bicicletta non è solo sport, ma anche salute, disciplina, aggregazione, una grande opportunità per tutti, dai corridori ai tecnici, dai meccanici ai nutrizionisti. Perché la bicicletta aiuta a capirsi e a capire”.
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