Bugno è uno di poche parole, Zandegù di tante. Bugno è così di poche parole che, se solo potesse, starebbe zitto, Zandegù è di così tante parole che, se solo potesse, canterebbe. Bugno è sottile, nei modi, nei tratti, anche in quelle poche parole, Zandegù è grosso, è grande e grosso, è più grosso di quello che è, è grosso anche in quelle tante parole, tant’è che nella vita ha fatto anche il grossista. Bugno, da quando ha smesso di correre, ha perso chili, Zandegù li ha presi, e – a occhio - non erano i chili di Bugno. Bugno ha gli occhi da husky, Zandegù da pastore, pastore tedesco, nel senso delle quattro zampe. Bugno ha il dono fisico della leggerezza, è aeronautico, tant’è che lavora come elicotterista, Zandegù ha il dono caratteriale della leggerezza, è terrestre, sdrammatizza, dissacra, sconsacra, forse esorcizza. Bugno è astemio, Zandegù no, non solo, pensa che l’astemia sia una blasfemia, una eresia, una malattia.
Bugno era un vincente, ha vinto dovunque e comunque, e avrebbe potuto vincere – così giurano i suoi compagni, i suoi avversari, i suoi direttori sportivi, lui ovviamente no – anche il doppio, anche Zandegù era un vincente, ha vinto, e avrebbe potuto vincere – così giura lui – anche il doppio se non fosse stato vittima di complotti, tranelli, sfortune, incidenti, sortilegi. Bugno aveva, come avversario designato dai giornalisti, Chiappucci, ed era un duello e un dualismo in cui gli appassionati di ciclismo si schieravano, si dividevano, si distinguevano, Zandegù aveva, come avversario designato dalla sorte, Basso, ed era un duello e un dualismo in cui gli appassionati di ciclismo si univano per arricchire racconti, storie, scommesse, e moltiplicare tutti i se e tutti i ma delle volate.
Bugno e Zandegù non hanno mai corso insieme né contro. Gianni, 54 anni, è stato professionista dal 1985 al 1998, Dino, 78 anni, dal 1963 al 1972. Così hanno attraversato due epoche del ciclismo, così vicine eppure così lontane, tanto che Zandegù può sembrare un Don Chisciotte e Bugno un Don Diego de la Vega ovvero Zorro, oppure Zandegù una commedia all’italiana e Bugno una serie americana, oppure Zandegù il Festival di Sanremo e Bugno “Avventure in elicottero”. Conoscendoli, quando gli hanno annunciato il premio, Bugno avrà risposto che veramente non era il caso, che certamente c’era qualcuno più meritevole di lui, che sicuramente non avrebbe saputo cosa dire, Zandegù avrà accettato, esultato, cantato, e forse anche già brindato.
Oggi Gianni Bugno e Dino Zandegù riceveranno a Compiano (Parma) il Premio Compiano Sport: Gianni alla carriera (due titoli consecutivi di campione del mondo, tanto per cominciare), Dino alla letteratura (è uno dei protagonisti del mio “Spingi me sennò bestemmio”, e a lui si deve il famigerato titolo del libro dedicato alle maglie nere e alle lanterne rosse, ai fanalini di coda e ai camion-scopa, insomma, agli ultimi). Il Premio è stato voluto nel 2011 dall’ex presidente della Provincia di Parma Pier Luigi Ferrari e dalla sindaca di Compiano Sabina Del Nevo. Beppe Conti, che è di Compiano, fa da regista. Nell’albo d’oro, fra gli altri, Paolo Rossi, Marco Tardelli, Francesco Moser e Beppe Saronni (30 anni dopo il campionato italiano in cui litigarono, poi Franz lo Sceriffo, arrabbiatissimo, vinse), Vittorio Adorni, Felice Gimondi, Claudio Chiappucci, Alessandro Petacchi, Ercole Gualazzini, Faustino Coppi, Gianni Mura, anche Alessandra De Stefano (con il suo libro sulla Dama Bianca) e Auro Bulbarelli (con la sua biografia di Fiorenzo Magni).
Appuntamento alle 15, nel Castello, ingresso libero. E vedrete che, alla fine, Bugno evaporerà, si dissolverà, sparirà, Zandegù resterà, intonerà, echeggerà.
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