Di Rocco: contro il doping, obiettivi chiari e regole certe

| 23/10/2007 | 00:00
Vi proponiamo l'intervento che il presidente federale Renato Di Rocco ha effettuato oggi a Parigi nel corso del Summit sulla lotta al doping. CONTRO IL DOPING NEL CICLISMO L’attualità nella lotta al doping è certamente caratterizzata da un importante progresso nella definizione degli obiettivi, degli strumenti, delle risorse e delle competenze. In particolare l’entrata in scena dell’Agenzia mondiale anti-doping ha rappresentato un qualificato ed efficace salto di qualità nell’azione di coordinamento e definizione di regole e strumenti. E’ un passo importante verso l’uniformità che è alla base della certezza dei doveri e dei diritti per tutti i soggetti appartenenti al Movimento Olimpico. Obiettivo raggiunto solo nel contesto dei Giochi Olimpici, ma ancora lontano per quanto riguarda la prassi vigente nelle diverse discipline, difforme sia nella qualità e nel numero dei controlli, sia nelle garanzie d’imparzialità procedurale previste dalle Federazioni Internazionali e Nazionali. A fronte di questa situazione, nel mondo del ciclismo, si è avuta da parte di varie realtà istituzionali e non, una proliferazione di iniziative intese ad affiancare l’azione diretta dalla WADA. Iniziative valide nella misura in cui integrano e rafforzano le normative approvate dagli organi preposti, ma improprie e fuorvianti quando imposte da parti in causa ad altri soggetti sotto forma di “codici etici” che lasciano ampio spazio ad interpretazioni arbitrarie e discriminatorie dei singoli casi. Ciò determina, nel quadro della più generale difformità esistente tra le varie discipline, una “variante” aggiuntiva nel panorama dei regolamenti e dei riferimenti organizzativi ed operativi del ciclismo, che aumenta, anziché ridurre, la confusione dei ruoli e l’incertezza delle regole. In particolare, si sta delineando sempre più una situazione in cui i settori di controllo, prevenzione e ricerca universalmente riconosciuti come cardini di un’efficace e rigorosa azione contro il doping sono in parte anche concettualmente alterati da sovrapposizioni che indeboliscono la “certezza delle regole”. Vale a dire il punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che nello sport sono chiamati ad un ruolo di grande responsabilità. I codici etici dovrebbero rappresentare una positiva sublimazione della regola. Il problema nasce quando la trascendono. Tutti concordiamo che una efficace azione antidoping deve, tra gli altri aspetti, essere: chiara negli obiettivi, certa nelle regole e condivisa nelle modalità operative. La condivisione non può essere alibi per giustificare atteggiamenti di ostruzionismo od immobilismo. L’esigenza dell’agire, nelle emergenze, può essere più forte dell’esigenza di condividere. Ma rischia di essere destabilizzante quando lo strumento dell’agire non sono i regolamenti vigenti e da tutti riconosciuti, ma il “codice etico” stabilito da una parte che si sovrappone a quei regolamenti e sostituisce l’autorità regolatrice a cui la parte stessa è sottoposta. L’etica, anche nello sport, è elemento di elevatissimo valore, che sta alla base dello sport medesimo, e nulla nello sport può avere valore se non nel rispetto dell’etica. Ma l’etica precede le norme ed è fondamento delle norme che ne derivano. Quando una componente del sistema fa appello ad un codice etico per introdurre in modalità surrettizia delle regole, sottraendole di fatto a chi ne è deputato per ruolo e competenza, il sistema corre il forte rischio di implodere. Infatti, il diritto-dovere di “portare un contributo etico” va riconosciuto ad ogni componente del movimento sportivo, ma il diritto-dovere di dettare le regole compete esclusivamente a chi tale ruolo è stato democraticamente chiamato. Entrando nel merito delle altre azioni che, rispetto all’attualità, possono essere individuate per una efficace lotta al doping, è importante ricordare il ruolo centrale che riveste l’aspetto della conoscenza. Conoscenza (da parte di atleti, tecnici, dirigenti di società, medici, dirigenti ad ogni livello istituzionale, …), nel caso specifico, significa: - conoscenza delle norme che regolano l’attività sportiva - conoscenza dei valori che sono alla base del proprio sport (ecco l’etica) - conoscenza degli effetti negativi (a volte mortali e devastanti) che la pratica del doping reca al fisico - conoscenza delle efficaci e corrette metodologie di preparazione atletica, e così via … Ma significa anche conoscenza, da parte di chi ha un ruolo nella gestione degli atleti, di tutti gli aspetti che li riguardano in funzione di una corretta azione contro il doping ed a favore della tutela della salute. Ed è su questo piano che l’attuale sistema va rafforzato. Nessuna azione contro il doping può con onestà essere dichiarata efficace se opera in modo prevalente (ai limiti dell’esclusivo) sugli atleti di élite. Nessun atleta ormai, nel ciclismo e nello sport in genere, matura la cultura dell’”aiuto purchessia” solo quando arriva alla categoria élite. La battaglia (sia in ambito culturale, che regolamentare, che operativo) va condotta a partire dalla categoria juniores. E’ in questa fascia che si formano e si modellano le caratteristiche psicofisiche dell’atleta. E’ in questa categoria che occorre investire (risorse, professionalità, attenzione, comunicazione, ..). E non vi è dubbio che in tale contesto solo le Federazioni Nazionali possono essere efficacemente presenti ed operative. Gli atleti juniores di oggi, quelli più dotati tecnicamente, sono gli atleti élite (e professionisti) di domani. Ogni realtà nazionale ha la possibilità di formare e accompagnare al traguardo di una attività di vertice atleti più “conosciuti”, più controllati e più preparati (in tutti i sensi) a gestirsi secondo codici condivisi e regole accettate. Perché ciò possa concretamente determinarsi, è necessario che tutto il movimento (a partire dalle realtà più avanzate) creda nella stessa esigenza e concorra a perseguire tale risultato. La condivisione di questa esigenza, vale a dire “collaboriamo per far crescere atleti più sani (da ogni punto di vista) e realizzare un ciclismo d’élite più trasparente e credibile”, è il primo importante passo che può aiutare chi su questa strada è già, con grande impegno avviato. L’ esperienza di Italia e Francia, unitamente a quella di altre realtà (come quella tedesca) che stanno avviando tale percorso, può essere un utile riferimento. Stiamo da tempo lavorando su tutta la categoria juniores con grande sforzo affinché: - a fianco di ogni società con atleti di categoria juniores vi sia obbligatoriamente un medico sociale (specialista in medicina dello sport), inserito in un apposito albo federale; - ogni atleta juniores venga sottoposto periodicamente (3 volte all’anno) ad una serie di accertamenti clinici, strumentali e di laboratorio; - i dati così raccolti siano registrati da parte del medico sociale in apposita cartella clinica (con modalità informatica); - ogni atleta juniores possa essere sottoposto in ogni momento a specifici controlli ematici fuori competizione. Abbiamo, altresì, attivato uno specifico monitoraggio (coordinato a livello centrale e con qualificata rete di laboratori) per un numero significativo (inizialmente 150) di atleti juniores, inseriti in apposito ranking federale che raggruppa le migliori potenzialità della categoria. Tale monitoraggio include anche i parametri ormonali e si protrarrà parallelamente al proseguo della carriera di ciascun atleta fino al suo eventuale approdo nella categoria professionisti. Contestualmente, tale ranking prevede l’inserimento, ogni anno, di un certo numero di atleti che arrivano alla categoria juniores da quella inferiore. Questa azione che stiamo conducendo e che viaggia in parallelo con l’esperienza della Federazione francese, richiede ovviamente un grande sforzo organizzativo ed operativo (oltre che di risorse). E’ uno sforzo però che vale la pena sostenere, se può collocarsi in modo coerente e sinergico con tutti gli altri momenti di lavoro in ogni ambito istituzionale. Affinché ciò avvenga è necessaria una visione condivisa del ruolo fondamentale che le singole Federazioni Nazionali hanno e devono avere nel sistema globale della “lotta al doping e tutela della salute”. E’ necessario che vi sia un coordinamento tra le varie realtà federali, dei loro metodi di lavoro e uno scambio d’informazioni anche sui dati del monitoraggio dei dati, che consentano davvero una “conoscenza” condivisa e trasparente sul profilo biologico e medico degli atleti che arrivano al professionismo. Occorre, pertanto, armonizzare tale lavoro. Un importante passo in questa direzione è stato la volontà espressa, all’informale tavolo di incontro tra il Dott. Mario Zorzoli dell’UCI ed i responsabili sanitari della Federazione ciclistica italiana, francese e tedesca, di costituire un gruppo di lavoro per armonizzare i protocolli sul monitoraggio relativo alle categorie minori e anche studiare modalità condivise ed integrate per la gestione dei dati. Questa ipotesi pone il problema, in termini più estesi, della gestione dei dati conseguenti a tutti i controlli (sia in ambito di controlli antidoping che di tutela della salute). “ Meglio” e “di più” conoscere, significa meglio lavorare; e questo vale per ogni realtà chiamare a cooperare nel sistema. Numerosi e positivi sono già i momenti nei quali si “lavora coordinati”, ma molto ancora si può e si deve fare. Un concreto riferimento riguarda il problema dei certificati per le esenzioni terapeutiche. Sarebbe buona cosa, così come avviene per situazioni quali il riconoscimento di ematocrito naturalmente elevato, prevedere che la certificazione di particolari situazioni di salute, che richiedano terapie specifiche, sia prodotta da specialisti operanti presso Centri proposti ed “accreditati” dalle singole realtà nazionali (dalla UCI per la categoria professionisti) secondo comuni protocolli. Altro terreno di lavoro potrebbe essere la gestione dei risultati per esiti avversi. In questi casi, si potrebbe prevedere il coinvolgimento del direttore sportivo, del medico sociale e del presidente di società come persone presumibilmente informate dei fatti, in modo che sappiano di dover rispondere in procedimenti per doping a carico di un loro atleta. A tale riguardo, dovrebbero essere delineate con chiarezza le funzioni e responsabilità di prevenzione e vigilanza per i direttori sportivi, presidenti di società e medici, approfondendo costantemente il loro ruolo nelle vicende di doping e prevedendo adeguate sanzioni, in caso di responsabilità oggettiva, anche per le squadre a cui appartengono gli atleti coinvolti.
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