| 15/10/2007 | 00:00 "Si è conclusa, al culmine della sua salita più lunga e difficile, l'esistenza di un corridore che diceva di essere condannato a vincere". E' commosso il ricordo di Sergio Zavoli: la morte di Vito Taccone lo ha colpito nel profondo perché anche insieme a lui è stato protagonista di una stagione non solo dello sport, ma della società civile italiana negli anni 60, quelli del boom economico. Il 'Processo
alla Tappa' del Giro d'Italia in tv è tra i documenti dell'epoca che più vengono ricordati, ed ha segnato il costume in bianco e nero del paese.
"Nell'anno delle famose 5 vittorie di tappa al Giro d'Italia mi confidò il suo segreto: quello di avventarsi sul traguardo come per una rapina, spinto dall'idea di dover vincere, per poter pagare ogni volta una cambiale di sua madre. 'Io non sono un corridore - racconta Zavoli riportando il pensiero di Taccone - sono un lupo affamato. La lepre, il camoscio, la gazzella, sono immagini eleganti, vanno bene per Coppi: io la strada devo divorarla, so che soltanto mangiandola, una volta persino vomitandola per la grande fatica, ci scappava il mangiare vero, quello di casa...'".
Zavoli ha conosciuto bene il Camoscio d'Abruzzo, anche fuori dalle corse. "Non è stato sempre un gran pulpito, la sua vita non fu sempre una storia di buone maniere, ma stenterà a nascere un corridore ciclista con quel temperamento, fatto di intelligenza, ribalderia e furbizia, calcolo e passione - insiste -. Non si è mai risparmiato, in nessun azzardo, l'infarto gli è arrivato tardi e forse porta il segno di tanta generosità. Tra le sue contraddizioni ne ricordo una esemplare: la confessione di essersi drogato, in un campionato del mondo, la paura di morire per una sincope, la decisione di battersi in
difesa di un ciclismo pulito e l'orazione esilarante e drammatica che qualche anno fa rivolse ai giovani rispondendo ad una provocazione. Se ne è andato un leader senza alone, frutto di una passione popolare".
Le sue apparizioni al 'Processo' facevano balzare in alto gli ascolti, e Zavoli lo conferma e lo ricorda volentieri: "Il 'Processo' gli deve molto: era sempre disponibile, non dico a recitare, ma a fare la parte di ciò che in sostanza lui era - ammette -- Qualche volta esagerava, io lo moderavo e lui rientrava nelle righe come uno scolaretto. Lui aveva sempre bisogno di esagerare un po', era il suo carattere e la sua generosità". Ma Sergio Zavoli lo mette comunque tra i grandi del ciclismo: "Ebbe la sfortuna di incontrare gente come Anquetil, Gaul, Van Looy... non lo ammisero mai a corte, ma ci sarebbe stato bene, con qualche diritto. Non è stato solo un grande abruzzese, ma un grande tra i grandi anche se in seconda fila, anche per il suo profilo umano".
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