Questa mattina Bonarrigo ha scritto che il Coni ha intimato alla FCI di «usare finalmente le maniere forti e adottare azioni concrete perché la situazione finanziaria del ciclismo è la più critica del sistema sportivo con quella dell’equitazione».
Una voragine si è aperta improvvisamente nel bilancio delle due ruote: un debito di 2 milioni e 700 mila euro di cui non c’era traccia nel bilancio di previsione dello scorso maggio, spuntati dal nulla ad agosto. In pratica, manca all’appello un quinto del budget. «La società di certificazione — spiega Di Rocco a Il Corriere della Sera — ha spostato delle partite finanziarie pretendendone l’immediato risanamento. Per il codice civile potremmo agire diversamente ma il Coni non sente ragioni. Attueremo un piano industriale di risanamento, ma dovranno darci una mano: l’hanno fatto con altre federazioni».
Il Coni chiede di agire su due fronti: aumento delle quote associative e delle tasse gara (già alte per i costi assicurativi) e revisione al ribasso dei programmi agonistici, ovvero la preparazione olimpica di atleti finalmente competitivi a livello mondiale. Senza soldi la pista (che ha un programma di gare planetario) si ferma all’istante. I primi a pagare il dissesto, intanto, sono bambini e ragazzi: da oggi il prezzo del loro tesseramento raddoppia.
La Federciclismo sconta i costi di un organico-monstre (82 dipendenti a tempo indeterminato, di cui 25 nelle sedi regionali in parte inattive) ed entrate che arrivano solo da tesseramenti e Coni: nel 2017 la Fci prevedeva di incassare meno di 100 mila euro dagli sponsor, una somma irrisoria. Nel rosso del bilancio conta la sfortunata avventura dei Mondiali di Firenze 2013, con la Federciclismo che si assunse la titolarità dell’evento tramite una società, poi fallita? «Il liquidatore — dice Di Rocco nel pezzo del Corriere della Sera — ha chiuso con i creditori al 60%. Non abbiamo più debiti».
Questo pomeriggio tuttobiciweb.it ha contattato Di Rocco per saperne di più e capire come la Federazione pensa di risolvere l'annosa questione. «Il problema del bilancio esiste ed è inutile nasconderlo, ma non è piovuto dal cielo e non è irrisolvibile. Stavamo già operando con un piano preventivo di rientro di 400.000 euro l'anno. Per quanto riguarda il personale, nel settembre 2013 il consiglio federale, per evitare controversie legali, ha deciso di regolarizzare i contratti di numerosi dipendenti che meritavano maggiore dignità per il contributo che offrivano al movimento sportivo e che sarebbero successivamente entrare a far parte della pianta organica del CONI, invece sono rimasti in carico a noi. La legge negli anni ha imposto inoltre un aumento delle aliquote dei dipendenti delle categorie protette, solo di recente abbiamo assunto 5 persone disabili. Su tutto questo incide inoltre l'Irap, la tassa sul personale che ci costa 110.000 euro l'anno. Se pensate che spendiamo 710.000 euro ogni anno per gli stipendi si fa presto a fare il calcolo e a capire come si è arrivati a questa cifra» spiega il numero 1 della FCI, che è anche vicepresidente dell'Unione Ciclistica Internazionale.
«A maggio di quest'anno la società di certificazioni del CONI ha preteso di azzerare tutte le partite negative, compresi gli avanzi di magazzini (il nostro vale 600.000 euro) e l'ammortamento degli automezzi, queste cifre sommate ai tanti crediti esigibili alla vecchia gestione spiegano la cifra del contendere. Detto questo per quanto riguarda i raduni e le trasferte della Nazionale non cambierà nulla, il mio impegno istituzionale è salvaguardare l'attività, taglieremo sui comitati o altre situazioni, non di certo sui fondi ai ragazzi della pista e ai loro sogni di medaglia a Tokyo 2020. Mantenendo inalterati i contributi delle attività tecniche negli ultimi 4 anni abbiamo ottenuto risultati evidenti, nel 2017 abbiamo superato il record di 70 medaglie. Troveremo i soldi per restare ai vertici del ciclismo internazionale, ne sono sicuro» rassicura Di Rocco.
Giulia De Maio