Quando Ceruti ti spinge a tifare per Cannavo’
di Cristiano Gatti
Come se un bel matrimonio terminasse col papà della sposa che tira la torta in faccia alla mamma dello sposo, così il presidente federale Ceruti e il direttore de La Gazzetta dello Sport Cannavò hanno leggiadramente chiuso il memorabile Giro di Pantani con una furibonda lite in diretta. È la norma: quando gli impiastri si muovono, sanno sempre scegliere il momento più propizio, cioè il meno indicato. Per tutto il Giro il Processo alla tappa è andato avanti sonnolento e soporifero, stile circolo del the, mai una lite e mai una polemica anche solo minimamente velenosa. Poi, l’ultimo giorno, quello della grande festa milanese, l’unico in cui si sarebbe potuto veramente soprassedere su tutto quanto, per dirci soltanto come questo sport bellissimo fosse riuscito comunque a smuovere l’intera nazione, ecco il padre della sposa e la mamma dello sposo tirarsi addosso anche le bomboniere. Uno spettacolo molto edificante. Complimenti per la scelta di tempo, complimenti ai nostri Lord Brummel per il garbo personale. Poi, a seguire, sono riusciti a fare anche di peggio. Editoriali, dichiarazioni, un intero campionario di accuse e di maleparole. E anche adesso, mentre siamo tutti in attesa di vedere come finirà questo Tour, sono fermi sulle loro posizioni. Tema: il calendario. È mortalmente noioso, ma merita due parole.
Riuscendo a liberare la questione dal cumulo di macerie lasciato dai due nerboruti litiganti, grosso modo le posizioni sono queste: Ceruti vorrebbe accorciare i grandi giri di qualche giorno, scendendo almeno da 23 a 20, mentre Cannavò, in quanto organizzatore rosa, non è per niente d’accordo (eufemismo). Chi ha ragione? Come sempre, tutti e due ne hanno un po’. Se poi riuscissero a esprimersi con un minimo di serenità e di tolleranza, riuscirebbero persino a esporla. Invece preferiscono il braccio di ferro, trasferendo secondo costume nazionale nell’ambito della politica, degli equilibri istituzionali, delle beghe di rappresentanza una materia che meriterebbe soltanto un minimo di buonsenso. Ma questo, purtroppo, è il nostro marchio di fabbrica: non appena bisogna ragionare, si passa subito alla congiura e alla guerra tra bande. E della questione in sè, regolarmente, non frega più niente a nessuno.
Lasciando ai due pugili il loro match personale, provo solo a esprimere una libera opinione. E dico subito che il presidente Ceruti è riuscito nella storica impresa di farmi parteggiare per Cannavò, operazione che costa sempre fatica e provoca un deciso senso di imbarazzo. Eppure questa è la verità. Dice bene Ceruti quando sostiene per esempio che i corridori sono troppo impegnati. Ma a questo malessere fa seguire una cura che non è una cura: accorciare i giri. Cioè le uniche manifestazioni, assieme alle grandi classiche, che i ciclisti dovrebbero onorare. Invece, la posizione di Ceruti finisce solo per difendere il calendario delle corsette e delle sagre di paese, dove i corridori vanno sempre e immancabilmente alla ricerca di qualche buon gettone, e dove sicuramente andrebbero nei giorni lasciati liberi dall’eventuale accorciamento dei giri. Non correrebbero meno: correrebbero peggio. E allora, mi chiedo: meglio mutilare i grandi eventi, oppure lasciarli come sono e disboscare brutalmente il calendario minore?
Mi rendo conto che a questo punto gli organizzatori delle piccole corse stanno già dando di testa. Ma il problema lo solleva Ceruti, non io. Se il ciclismo soffre ormai di gigantismo, se gli atleti sono sottoposti ad una stagione massacrante, la colpa non è dei giri. Anche perché, sia detto per inciso, a parte alcuni casi eroici come Gotti e Pantani, quasi tutti ne corrono soltanto uno. A logorare gli atleti sono le duemila corsette inutili, che la gente manco più sa riconoscere dal nome, che comportano spostamenti continui in macchina e in aereo, senza soluzione di continuità, senza possibilità di riposo. E allora, se vogliamo dare un po’ di tregua a questi poveri cottimisti della pedivella, è lì che dobbiamo tagliare. È doloroso, ma alle corse che non si reggono più in piedi va staccata la spina.
Certo, tutto questo non è facile. Per un presidente federale, dire qualche no può costare buona parte del suo consenso. Non tutti hanno voglia di risanare un settore ed essere ripagati alla fine con una sonora bocciatura elettorale. È umanissimo. Ma se questa è la logica, basta dirlo apertamente. Non c’è problema, lasciamo tutto com’è adesso. Però, per piacere, anche i grandi giri.
Cristiano Gatti, 41anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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