Gatti & Misfatti
Scelgo Tom

di Cristiano Gatti

In Italia sappiamo ancora in pochi come si scrive il suo cognome. Tutti sbagliamo la pronuncia. Qual­cu­no non sa neppure quale sport pratichi. Ma nonostante sia tutt’altro che popolarissimo, re­sta a pieno titolo il vero pro­totipo del campione straniero da portare al Giro. Ca­sual­mente, ne è anche l’ultimo vincitore, tanto per dire che comunque non sto parlando di un pisquano qualunque.

Mentre aspetto di ve­dere come finirà il pollaio nato su e attorno Froome (la mia idea è chiara e semplice sin dall’inizio: comunque, la sua presenza rovinerà il Giro), voglio proprio dedicarmi a qualcosa e qualcuno che certamente ren­derà onore e gloria all’amata corsa rosa, a Tom Du­mou­lin. Non ne voglio fare un mito sul niente. So benissimo che non è una simpatica canaglia, come tanta gente vuo­le nei suoi campioni di ri­ferimento. Non è, direbbero gli strateghi dell’immagine, un personaggio che buchi gli schermi e rapisca i cuori. Per quello che ho visto l’anno scor­so, non è neppure un ca­rat­tere che possa tenere su una festa di addio al celibato. La persona si presenta discreta, tranquilla, però con un suo marcato garbo e una sua evidente serenità. Magari quando torna a casa chiude la por­ta e picchia la moglie, ma a occhio e croce sembra proprio un tipo equilibrato. Ha veramente tutti, ma proprio tutti i requisiti per non diventare eroe del suo tempo. Non è ma­ledetto, non è stravagante, non è devastato da draghi ta­tuati. Non sembra avere neppure la fortuna sfacciata degli spacconi più sfrontati: nella tappa decisiva del Giro ha per­sino dovuto calarsi le braghe tra i prati, al cospetto del­lo ieratico Stelvio, che fino ad allora aveva visto una scena similare soltanto grazie a Ivan Basso.

Eppure bentornato vecchio Tom. Glielo dobbiamo proprio dire. E spero glielo diranno tutti, al suo passaggio. Questo olandese senza quarti di nobiltà è forse il campione che più di tutti, oggi, onora il Giro con una passione e un trasporto commoventi. Non torna perché deve allenarsi per il Tour. Non torna perché uno sponsor gliel’ha imposto. Non tor­na perché non sa che altro fa­re, e allora tanto vale correre una gara qualunque. Torna perché ci crede. Torna perché ci tiene. Vengo in Italia perché adoro l’Italia e perché ado­ro il Giro: questo, semplicemente, ha spiegato. E tanto mi basta. Non serve altro. Ogni parola in più suonerebbe melensa e ruffiana, molto simile a quelle che pronunciano regolarmente i suoi colleghi stranieri quando sbarcano controvoglia, magari con l’idea già chiara in mente di fermarsi al primo fondovalle al­pino.

Per ripartire, per rilanciarsi del tutto, il Gi­ro ha bisogno di tanti Dumoulin. Cioè campioni stranieri che scelgono il Giro volontariamente, lucidamente, appassionatamente. Poi ma­gari Vegni verrà a dirmi che Tom ha preteso dieci mi­lioni di euro per aderire, ma mi sembra molto difficile (an­che perché, dovendo pagare qualcosa, i nostri pagherebbero Froome). Basta con gli stranieri convinti in ginocchio, gli stranieri in qualunque modo, anche in un modo impresentabile, soltanto per dire che il cast è prestigioso. È dall’epoca dei Lemond in gita enogastronomica che ho mes­so la croce su questo genere di presenze prestigiose. Cosa ce ne facciamo dei big stranieri che qui fanno i little. Meglio uno solo, ma buono e convinto. Uno come Dumoulin, che magari il Tour lo sogna quanto gli altri, ma che preferisce arrivare primo in Italia, non quarto o settimo in Francia. Il Tour magari lo vincerà, un giorno: ma con calma, a tem­po debito, senza fretta. So­prat­tutto, senza sacrificare an­ni e anni di carriera nell’ossessiva rincorsa dell’impossibile illusione. Vengano i Du­mou­lin, con il loro carico di rispetto e di piacere. Convinti di ricevere prestigio in Italia, non solo di portarne.

Tra le altre cose, è pure campione del mondo a cronometro. E sceglie il Giro che meno di tutti, negli ultimi anni, gli offre questa leva tanto amata. Dun­que un Giro per lui più ri­schioso, a livello tecnico. Eppure non ci sono ma, se, però. Zero tentennamenti. Tom non viene per fare un favore a noi: viene per fare un favore a se stesso, nel suo pieno interesse personale. Più di tante parole ipocrite, pronunciate a pappagallo, è questo in fondo che si intende per rispetto dell’Italia e del Giro d’Italia. Il piacere di sceglierlo. Il piacere di esserci. Non solo con le gambe: anche con la testa e con il cuore. Non mi vergogno a dirlo: se rivincerà lui, non riuscirò a essere deluso. Neppure se a perdere sarà Aru. Nel caso, avrà perso dal vero Avversario.
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