Scripta manent
«Al Tour, al Tour»

di Gian Paolo Porreca

E d allora, ordunque, “al Tour al Tour”, per esorcizzare i nostri in­sulsi riti e i nostri intollerabili tormentoni dello sport estivo... “Al Tour, al Tour”, per ribadire le tonalità di quell’“a Mosca, a Mosca”, con cui le protagoniste de Le tre sorelle di Ce­chov invocavano la fuga nel­la capitale per rimuovere le modestie culturali e sentimentali della loro provincia russa...
Al Tour, al Tour, voi che non ne potete più di Raiola &c uber alles e della contrattazione intorno al forziere di un portiere diciottenne nel segno di “Don­na­rumma all’assalto” (Ottieri) e delle pagine su pagine dai media cosi dedicate alla più Idiota (Dostoievskji) delle vicende di calcio non giocato che ricordiamo. Altro che Virdis e la Juventus d’an­tan.

E che non ne potete più, co­me quanti ti­rano quattro settimane p­er uno stipendio che al 21 del mese (Mogol-Bat­ti­sti) può essere già finito, di una mortificazione o mi­stificazione dei valori, per cui i milioni di euro si contano fino a 100, come su un pallottoliere da Paperon de Pa­peroni, questo a me questo a te....
Al Tour, al Tour, senza essere moralisti e quaccheri ol­tre il lecito, ma certamente giusto il concreto, per non disperdere quella pur larvata lezione etica che nelle strie sottili dello sport an­cora dovrebbe essere rintracciata. E senza avere l’accidia del professore Aristogitone di “Alto Gra­di­mento” per cui Donna­rum­­ma alla maturità difficilmente lo approveremmo. Se non ci porta il programma di studio intero, e non una do­man­da a piacere, e tantomeno un autografo al ritmo di un selfie.

Al Tour, al Tour, sorbendoci pure Froo­me e Quintana, Bar­det e Porte che il massimo del nostro gusto non sa­ranno, ma con la certezza mai come in questa vigilia di un’Italia sia pure in tinta non unita per cui tifare.
Non parliamo di sogni, quel così abusato concetto di “Un sogno di mezza estate” (Sha­kespeare) lo lasciamo ai re­dattori affranti del­le campagne acquisti di calcio, che i sogni altrui li de­vono innaffiare a giorni al­terni di Go­nalons e Perisic, Rulli e Bu­dimir, come fecero di Bane­ga e Gabigol la stagione scorsa...

Al Tour, al Tour, an­cora, se l’ultimo dei vostri totem sentimentali è “La cognizione del dolore” (Gadda) che per un pugno di assensi elettorali in più a Maradona, pessimo fi­guro di eccelso calciatore, si debba pubblicamente as­segnare la cittadinanza onoraria della vostra città.
Al Tour, al Tour, ancora, ed infine - “non parlare di altri sport, per cortesia” - solo e in­nanzitutto per quella splen­dida vittoria di Fabio Aru all’ultimo campionato italiano, che ci ha illuminato di azzurro e tricolore. E che ci ha fatto capire che uno sport sport sport c’è ancora, sulle strade e fra la gente.
E che ad una Italia che conta alla rinfusa i soldi dei tycoon asiatici e abbassa l’anagrafe dei calciatori delle attenzioni dei procacciatori all’età dell’a­dolescenza, cresciuta chissà in che modo poi, noi preferiamo la fantasia di lu­glio del Tour. In un medley da strapaese che ci intriga, da Aru, e lo sapete dove vo­gliamo arrivare, a Marcato, da Colbrelli ad Ulissi, da Ben­nati a Pa­squa­lon, da Fel­line a Bono...

Al Tour, al Tour. Quel­la è la vacanza, quello è il Pernod acqua naturale e molto mol­to ghiaccio con cui delibare i giorni. “Tre settimane da raccontare” (Fred Bon­gusto), ben al di qua dei sogni.
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