Gatti & Misfatti
Il tradimento

di Cristiano Gatti

Oddio, mi si è ristretto il ciclismo. Nemmeno avessimo sbagliato il candeggio, ripartiamo con un movimento molto più piccolo, diciamo pure ridotto all’osso. Con poca polpa da rosicchiare.

L’inverno è trascorso tra premiazioni e convegni, tutte no­bi­lissime occasioni per fare il punto, per tracciare linee programmatiche, per avviare la ri­costruzione. Alla faccia delle chiacchiere sciolte. Ne ho sentite veramente di tutti i colori. A partire dai burocrati fe­de­rali, per arrivare allo stesso sindacato corridori, passando per medici e organizzatori, diesse e massaggiatori, volti televisivi e pierre, ognuno ha l’idea formidabile per rilanciare la negletta creatura no­stra. Tra cotanto sferragliare di cervici, io mi sono preso la briga di segnarmi soltanto una cosa veramente fondamentale, una promessa fatta dal nuovo presidente Uci Cook­son (impressione iniziale: mi sembra un tipo commestibile), una promessa che toc­ca una questione secondo me essenziale: la riforma dei ca­len­dari. Bisogna rifare molte cose, ma questa mi sembra dav­vero la prima: non esiste che in California si corra du­rante il Giro d’Italia, non esiste che il giro del condominio conti a livello di punteggi quanto - o quasi - il Tour de France. Mettiamoci mano, per dio, e finiamola una volta per tutte con la retorica idiota della divulgazione planetaria. Certo che è auspicabile, ma non a costo di buttare tutto in farsetta.

Detto questo, mi sembra di poter aggiungere che poco si è detto sulle cause vere di questa crisi epocale. Se il ciclismo italiano è così ridotto (male), se oggi come oggi appare liofilizzato (senza una vera squadra di serie A, con il solo Nibali a reg­gere il confronto internazionale), le ragioni sono ov­via­mente tante. Io però mi so­no stufato di dare colpe a tut­to e a tutti, così da non arrivare mai al nucleo centrale delle questioni. È vero, tutti abbiamo concorso con il no­stro mattoncino a buttare giù la vetrata, ma non possiamo nasconderci che qualcuno ne ha buttati più di altri. Per­so­nalmente non mi voglio na­scondere, personalmente ho scelto una conclusione definitiva: se devo dire quale è il motivo primo di questo ciclismo italiano ridotto all’osso, proprio il primo di tanti motivi, dubbi non ne ho più, il primo di tutti i motivi per me si chiama doping.

E via con i se, i ma, i pe­rò. Già li sento in lontananza: tutti gli sport sono dopati, il doping c’è sem­pre stato, il ciclismo ha peccato di masochismo, il ci­clismo è lo sport più coraggioso e avanzato nell’antidoping. Tutto giusto e tutto vero. Però io sbaracco subito queste ri­spettabili cianfrusaglie e vado al sodo: per vent’anni - ormai sono proprio venti - la grande platea degli sportivi ha subito un tale bombardamento di scandali, di risultati fasulli, di bugie colossali, di vergogne inenarrabili, che umanamente non le si può imputare di ave­re voltato le spalle al ciclismo per puro capriccio, o per mo­da, o per posa. Peggio ancora: lo stesso bombardamento a tappeto l’hanno subìto gli sponsor, e dio solo sa quanti ne abbiamo persi per disamoramento e disillusione, per de­lusione e imbarazzo. Chia­mia­mo le cose con il loro no­me: un sacco di appassionati, quelli danarosi che pagano le squadre e quelli squattrinati che affollano le strade, se ne sono andati per colpa di un sommo tradimento. Così lo chiamo, né più, né meno: tradimento. Questo il vero motivo, questa la madre di tutte le cause.

Sì, per vent’anni il ciclismo ha tradito. E non c’è niente di peggio, do­po il tradimento, della rabbia di un tradito. Che vogliamo dire, a questi amanti mes­si in fuga da vent’anni di me­schinità e di bugie: vogliamo raccontare che non è come sem­bra, che possiamo spiegare? Io dico che dobbiamo soltanto abbassare lo sguardo e chiedere umilmente scusa. Sempre che le accettino, sempre che abbiano ancora voglia di ascoltare. Dopodichè, resta aperta una sola strada: ricominciare da zero in un altro modo, in un modo nuovo. Senza fare gli offesi e i permalosi, senza stupidi scatti d’orgoglio, senza la spocchia degli impuniti. Chi sbaglia paga, noi abbiamo sbagliato tantissimo e stiamo pagando tantissimo. Ma l’importante, nella vita, è crescere. Può darsi che di un ciclismo cresciuto, mi­gliore, nuovo, qualcuno possa innamorarsi ancora. Bisogna provarci, senza tanti ma, se, però. Dobbiamo cominciare da subito, da questo 2014 pieno zeppo di novità. Non possiamo lasciarci sfuggire l’oc­casione: è un dovere. L’al­ternativa è finire come il cinema in bianco e nero, come l’Ovomaltina e come la boxe: tra i ricordi malinconici di un tempo lontano, senza possibilità di ritorno.
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