Gatti & Misfatti

Il fantasma di Taddeo

di Cristiano Gatti

Volenti o nolenti, presto o tardi, dovremo farcene una ragione. La presenza di Pogacar non sa­rà invadente e straripante negli ordini d’arrivo solo quando corre, ma anche quando sarà assente e lontano. È il destino involontario di tutti i campionissimi, dei pochi comparsi nella storia, ma è un de­stino che nessuno può evitare, ignorare, cambiare.

Qualcosa abbiamo già capito in questa primavera di grandi cor­se vinte da grandi corridori. Lo stiamo verificando pure in chiave Giro. Persino quando Po­gacar non c’è, forse do­vremmo dire soprattutto quan­do non c’è, il suo fantasma incombe sugli esiti finali e li condiziona pesantemente. La vittoria di chiunque, quando Pogacar non è in gara, ha e avrà sempre un asterisco. Un “se però”: tiziocaio ha vinto al­la grande, se però ci fosse sta­­to Pogacar la corsa non sa­rebbe andata così, comunque chi può dire se Tiziocaio avrebbe battuto anche lui...

Non è bello, non è giusto, ma è così. Non possiamo negare che se non corre Pogacar in persona, corre il suo fantasma. Mi viene in mente l’ultima Liegi, esempio perfetto: tutti in attesa della sfida epocale tra Tad­deo e Evenepoel, finalmente l’occasione per stabilire chi sia più fenomeno almeno nel­le classiche (per la verità Eve­nepoel aveva già chiarito al Mondiale, ma servono un po’ di controprove), poi il disgraziato accidente di una caduta e alla fine Eve­nepoel si ritrova a sbrigare la pratica da so­lo. Grandissima vittoria, enor­me corridore, ma anche in questo caso l’asterisco: se però Pogacar non fosse caduto? Così, una Liegi fantastica, dominata da un vero fuoriclasse, comunque si porta dietro il suo fastidioso e inevitabile dubbio.

Sarà così anche in questo Giro: chiunque lo vincerà, assieme al Trofeo senza fine si porterà a casa anche questo asterisco senza fine. Vincere senza battere Pogacar, il nuovo limite. Neanche fosse una vittoria dimezzata. Certo sappiamo bene che non dovrebbe essere così, che gli assenti hanno sempre torto, che vincere è comunque difficilissimo, che è una vera porcheria sminuire in qualche modo il capolavoro del vincitore. Ma non possiamo farci niente. È la regola dello sport. Di tutti gli sport. Ben­chè tutti sappiamo e ci ri­petiamo che con i se e i ma non si va da nessuna par­te, le discussioni più belle partono sempre sui se. Se avesse corso Pogacar, sarebbe finita ugualmente così?

Èil chiaro segno, forse il più limpido, della ve­ra grandezza di un campione. La storia ci racconta che in certe stagioni sono ar­rivati persino a pagare il mi­gliore non tanto per correre, ma piuttosto per starsene a casa. Non so se succederà mai a Pogacar, credo proprio non sia più possibile una faccenda del genere, ma il peso e l’invadenza dello sloveno sono or­mai di questo genere. Suc­ce­deva anche all’epoca di Merckx: le vittorie di Gi­mondi non erano così vittorie se tra i battuti mancava Merckx.
Alla fine della fiera, in epoche di dittatura così opprimente, ri­ma­ne una sola consolazione. A quella bisogna aggrapparsi. Soprattutto gli avversari. Quando Pogacar c’è e lo bat­ti, la vittoria non è una semplice vittoria. Vale doppio. E non è per niente male ag­giungere questo sale ai temi di una gara: vedere chi riuscirà, se riuscirà, a far fuori il fenomeno. Vin­ge­gaard l’anno scorso l’ha fatto al Tour (e pazienza se corre praticamente solo quello): og­gi, domani e dopodomani sa­remo qui a ricordare il Tour in cui mise sotto Po­gacar, non un Tour qualunque, uno dei tanti. E se in futuro gli capitasse di vincerne un’altra mezza dozzina, ma senza Pogacar, non varrebbero quello.

Che corra o che non cor­ra, il campionissimo è sempre unità di misura e termine di paragone. Ago della bilancia e pun­to di riferimento. Succede a pochi. Forse è questa la loro vittoria più indiscutibile. L’unica davvero senza se e senza ma.

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