I miei vecchi Pirenei
di Gian Paolo Ormezzano
Quelle che seguono sono righe assolutamente deliranti di un vecchio giornalista sempre più innamorato del suo antico ciclismo, sempre meno affascinato dalle tante ramificazioni del mondializzatissimo ciclismo attuale, con sempre più competizioni (anche di donne, evviva) per tante tipologie di biciclette e percorsi, e con sempre meno popolo sulle strade (mi torna in mente una vignetta profetica, credo del francese Sempé mancato da poco: passa il re sulla strada vuota, le finestre delle case mostrano nelle stanze tanta gente che gli dà le spalle perché guarda alla televisione le immagini del passaggio del re in una strada vuota).
Non so se quanto sto per scrivere profuma di buono o puzza di vecchiume, non so neanche se riesco a descrivere quel certo momento sui Pirenei. Ma voglio provarci, magari si sorride insieme. Dunque: forse il primo dei miei quindici Tour de France, anno 1960, vince Gastone Nencini. Non importa. Importa il posto, i Pirenei. Io patito della Francia, les femmes nues in scena a Parigi, le riviste osées ma anche e di più le poesie di Victor Hugo e le canzoni di Charles Trenet. Del primo sapevo e so a memoria Le corn, il corno che sparge il suo suono mentre Rolando/Orlando muore combattendo contro i Morì a Roncisvalle (778 d.C. io non c’ero), appunto sui Pirenei, del secondo stonavo e stono Douce France, La mer, Que reste-t-il? e soprattutto Mes jeunes années, di un’infanzia dove les Pyrénées chantent au vent d’Espagne.
Un paio di giorni prima ci erano arrivati in qualche sede di tappa i giornali (Tuttosport) con i nostri articoli da che la corsa era partita, un bel pacco confezionato dall’Italia, centellinavamo la lettura a gradi, giorno dopo giorno, eravamo arrivati quella volta lì proprio al giornale che annunciava a nove colonne e su quasi tutta la prima pagina (allora il ciclismo prevaleva anche sul calcio) il Tour de France alla vigilia delle scalate pirenaiche. Il direttore Antonio Ghirelli, grandissimo giornalista e che sempre sia lodato, aveva fatto un titolone a dire di suspense e attesa e emozione e mito.
Enfin: eravamo, noi di Tuttosport, in mezzo ai Pirenei. In mezzo a montagne tutto sommato tenere, specialmente in rapporto a tante arcigne rocciose mie Alpi. Quasi immani ma amiche colline, con dovunque tanto ma tanto verde. Alberi di giusta taglia che offrivano la giusta ombra e lasciavano bene frusciare il dolce vento. Ruscelletti che scorrevano con sonorità deliziosa,e il cinguettio di tanti uccellini: gentilezza totale insomma della natura. E idillio pieno di noi con il paesaggio. Con sinanco pregustazione mentale di uno sconfinamento previsto nella vicina Spagna, dove avremmo acquistato a basso costo cognac iberico profumatissimo e assenzio a 90 gradi.
Sono “appena” tre quarti scarsi di secolo, ricordo benissimo la mia personale promozione immediata dei Pirenei a posto di vacanza ideale, magari proprio a Roncisvalle dove Rolando combatté l’ultima battaglia contro i Mori. Ricordo che uno di noi lesse ad alta voce il titolone in prima pagina, su due righe, del beneamatissimo quotidiano: “Il Tour sui costoni delle montagne di fuoco – Il Tourmalet non si addice ai frilli” (frillo in ciclistese era il pedalatore fragile).
Pensando al contrasto fra quel titolo là e quel posto lì, scoppiai in una delle risate più totali della mia vita complessivamente allegra. I costoni delle montagne di fuoco erano dolci colline ricche di erba profumata, cantavano gli uccellini, venticello e ruscelli facevano la loro graziosissima parte, piacevole era il caldo del bel sole. Risi e risi. Il giornalista vecchio suiveur autorevole, lui capo équipe mentre io ero un giovane apprendista, volle sapere il perché, ovviamente non riuscii a spiegarglielo bene, mi fece il muso.
Magari già scritto, ma repetita juvant, no? Qualche anno dopo al Tour, sempre su quelle montagne di fuoco, per un altro sconfinamento in Spagna, stavo in auto con Giovanni Mosca (il grande umorista, una delle anime del giornale satirico Candido, il papà di teleMaurizio e Benedetto giornalisti, Paolo scrittore e cantautore, Antonello architetto (mais où sont-ils maintenant?), provai a descrivergli quei miei controPirenei, non mi apprezzò, era preoccupato, avevamo comprato in Spagna troppo assenzio vietatissimo in Francia, alla dogana avremmo potuto correre dei rischi. Lui per prudenza aveva catturato un immane farfallone che svolazzava dentro l’auto. Ecco i doganieri francesi: Rien à declarer?. E lui mostrando il farfallone: Viande de papillon. Risate, ed eccoci di nuovo nei Pirenei francesi dei miei Victor (Hugo) e Charles (Trenet).