di Pier Augusto Stagi
LA CABINA DI REGIA. Archiviamo a malincuore un bel Giro, duro, durissimo e combattuto. In sede di presentazione - come direbbe il maestro Bruno Pizzul - avevo definito questo tracciato numero 104 come molto bello perché per certi versi sconosciuto e ignoto. Traguardi poco noti come San Giacomo sopra Ascoli Piceno, non erano banali, come di fatto poi si è rivelato.
Chi segue il ciclismo conosce questo arrivo, chi segue la Tirreno sa che tipo di traguardo fosse questo. Così come Campo Felice-Cima di Campo con il suo sterrato che ha esaltato e di fatto lanciato in orbita Egan Bernal, che da quelle piste da sci ha preso slancio come su un trampolino che sarebbe piaciuto un sacco a Primoz Roglic, bravo sia in uno sport che nell’altro.
E poi Sega di Ala, che la maggior parte non conosceva, ma che chi come me l’aveva scoperto al Giro del Trentino sapeva perfettamente che non sarebbe stato un traguardo banale e avrebbe fatto più male di un tappone dolomitico. E lo stesso vale per l’Alpe di Mera e l’Alpe Motta. Un Giro fin troppo duro, questo va anche detto. E pensare che c’era chi sosteneva che questo fosse solo un giretto.
È stato un giretto per i velocisti che ne hanno fatto solo un pezzo, alcuni solo una settimana (Caleb Ewan), ma per loro c’erano davvero solo cinque volate. Forse un giretto lo è stato per un cast di grido, con i convalescenti Bernal, Nibali e Evenepoel, ognuno con la propria storia e i propri dubbi. Un cast da Giroincorsia, con qualche acciacco e molte assenze: questo dobbiamo dirlo. Con rispetto per tutti, e in maniera propositiva. Come abbiamo gioito per la Tirreno Adriatico che è stata di rara bellezza, perché oltre ad un tracciato degno di nota c’era un cast di partecipanti degno di un Tour.
Però, chi ha corso ha onorato come pochi la corsa rosa. Spettacolo dall’inizio alla fine. Ecco, il Giro va rivisto solo in “cabina di regia”, e non mi riferisco né a Paolo Bellino - il direttore generale e amministratore delegato di Rcs Sport - che è l’uomo giusto al posto giusto. E neppure a Stefano Allocchio, che dirige il traffico rosa con esperienza, competenza e passione e tantomeno al nostromo del Giro Mauro Vegni, che con la matita e la fantasia sa dare forma a Giri da sogno. Mi riferisco invece alla regia di mamma Rai, che non è stata all’altezza, mostrandoci troppo spesso immagini traballanti con una narrazione visiva spezzettata e sincopata. Di chi è la colpa? Non lo so. Da spettatore posso solo dire che ho visto e mi sono anche calato nei panni dei telecronisti (Andrea De Luca e Marco Saligari, Francesco Pancani e Giada Borgato, ma anche Luca Gregorio e Riccardo Magrini, che avevano anche l’handicap di non avere tutte le informazioni di cui gode invece mamma Rai), che in queste tre settimane hanno dovuto fare i salti mortali per raccontare una corsa bellissima, ma spesso mal proposta a livello di immagini, con una regia che saltabeccava random, senza seguire la narrazione che veniva proposta dalla corsa: e meno male che c’erano in gruppo e in moto Stefano Rizzato e Davide Cassani, che hanno messo una pezza in più di un’occasione, grazie ad un servizio informazioni eccezionale, guidato dal professor Enrico Fagnani. Insomma, in “cabina di regia” quest’anno è stato un disastro, basti pensare ad almeno due volate, che non si sono neanche viste, tanto che in diretta non si è compreso chi avesse vinto sul colpo di reni. Un disastro. Ecco, su questo il Giro deve interrogarsi. Prima di avere dei grandi campioni al via è bene che ci sia tutto il necessario per farli vedere nel modo più giusto al mondo.
UN ESEMPIO. La tappa accorciata di Cortina d’Ampezzo ha fatto chiaramente discutere, e noi di tuttobiciweb ne abbiamo parlato in maniera credo abbastanza esaustiva. Io più benevolo con il taglio adottato dall’organizzazione e dal presidente di giuria su indicazione dei corridori. La sicurezza prima di tutto. Le discese di Fedaia e Pordoi sarebbero state troppo pericolose. Cristiano Gatti, da parte sua, ha però posto l’accento sul «pericolo di correre dritti verso una banale normalità». Ecco, su un punto vorrei essere chiaro, avendone parlato più volte anche con Christian Salvato presidente dell’ACCPI.
State attenti. Non dimenticatevi mai che chi vi guarda sa di cosa si parla. Il protocollo meteo va bene, benissimo se ci sono discese a rischio, ma se una tappa termina in salita e sulla strada c’è neve e la visibilità è ridotta con temperature da polo nord, non applicatelo mai. In salita si va anche a piedi. In qualche modo si risale, l’importante è arrivare su in cima e tagliare il traguardo. Io sono per la sicurezza ma, come ha ricordato Gatti, attenzione a banalizzare tutto, a normalizzare uno sport che da sempre ci rende unici. Va bene la sicurezza, ma al sicuro vanno tenute anche le specificità di uno sport che con l’epica ha costruito la propria storia, tanto da diventare sport paradigmatico. Un esempio per tutti gli sport.