di Francesca Monzone
Lo avevamo lasciato nel 2019 come eroe al Tour de France, con gli occhi pieni di lacrime mentre in maglia gialla abbracciava il fratello minore Ronald Stiven prima di salire sul palco sugli Champs Elysees. Egan Bernal era l’eroe partito dalla Colombia per compiere una grande impresa. Poi, come qualche volta accade, anche i più forti cadono e così il ragazzo sorridente nel 2020 è costretto a chinare la testa e fermarsi proprio in quella corsa che lo aveva reso celebre in tutto il mondo. Egan torna a casa, si dispera e con il suo staff cerca di trovare una soluzione logica per quel crollo avuto al Tour.
Nello stesso modo in cui la fenice risorge dalle proprie ceneri, così il prodigio di Zipaquira riemerge dai suoi problemi. Trova la causa, si cura e lavora sodo e torna a vincere. Questa volta in Italia, in quella terra che lo ha accolto quando è diventato un ciclista professionista. Due anni dopo la vittoria al Tour, Egan ritrova il sorris conquistando Il Giro e il trofeo senza fine.
Tutto inizia il 16 settembre del 2020 quando, alla vigilia della diciassettesima tappa del Tour, Bernal decide di fermarsi. Se all’inizio le sensazioni erano buone, strada facendo il colombiano si rende conto di non riuscire a tenere il passo dei più forti: pedala ma il suo corpo non risponde come dovrebbe.
«Non volevo che finisse così - aveva detto Bernal fermandosi - ma questa è la decisione giusta per me. Ho molto rispetto per questa corsa ed è per questo che mi fermo, ma tornerò più forte».
Mentre Tadej Pogacar raccoglie la sua eredità, Egan torna in Colombia per cercare di dare un senso a quello che è accaduto. Iniziano gli esami e gli accertamenti, seguiti da altri esami più approfonditi richiesti da specialisti importanti, abituati a rimettere in sesto i campioni dello sport. Si arriva così al 20 novembre, quando alla trasmissione Signal Colombia il campione della Ineos Grenadiers racconta dei suoi problemi, spiegando che al Tour si era fermato per dei dolori alla schiena che non riusciva più a gestire e che non gli permettevano più di recuperare tra una tappa e un’altra.
«È un problema che ho da diversi anni. Anche quando nel 2019 avevo vinto il Tour li avevo e ancora prima, quando facevo mountain bike».
Bernal si confessa, ha un problema fisico importante: «Le mie gambe non sono uguali, c’è una differenza di lunghezza e questo ha provocato un dislivellamento e una scoliosi. Adesso sappiamo qual è il problema, ma sappiamo anche come affrontarlo e risolverlo».
Bernal si sottopone a lunghe sedute di riabilitazione, che serviranno a rinforzare i muscoli della colonna: solo attrverso questo lavoro potrà tornare ai livelli del Tour del 2019.
«Durante la quarantena ho trascorso molte ore sui rulli e poi siamo passati ad attività a zero intensità. Penso che una vertebra sia andata a schiacciare parzialmente un nervo e che questo mi abbia causato il forte dolore».
Egan si sottopone anche a due sedute di riabilitazione al giorno, per recuperare presto e bene, ma sa che i tempi non possono essere accorciati.
«Sto lavorando e i problemi alla schiena si stanno risolvendo e io già non ho più dolore».
Si arriva così a gennaio e tutti si aspettano che il colombiano torni alle gare, ma i tempi non sono maturi e bisogna aspettare e lavorare. Il colombiano arriva in Europa a fine gennaio e il 3 febbraio prende parte alla Etoile de Bessèges - Tour du Gard. Corre tranquillo, è la prima gara e non c’è alcuna fretta. Poi qualche giorno dopo è al via del Tour de la Provence, le cose cambiano ed Egan sembra stare bene. Arriva secondo in una tappa e nella classifica riservata ai giovani, chiudendo al terzo posto della generale alle spalle del compagno di squadra Sosa e di Alaphilippe. Arriva poi in Italia e al Trofeo Laigueglia è secondo dietro Mollema e il 6 marzo è terzo a Strade Bianche. Bernal sta bene, lo dimostra e vuole continuare ad essere competitivo: arriva la Tirreno-Adriatico, Bernal chiude al quarto posto nella classifica generale e questo fa ben sperare per il futuro.
«Attaccherò se starò bene - dice alla vigilia della corsa dei Due Mari -. Sono soddisfatto della mia condizione che sta continuando a salire e sono fiducioso». Al termine della corsa torna a casa in Colombia, la squadra lo segue attentamente e la fisioterapia va avanti. Si decide così di rinunciare ad altre corse, scegliendo la preparazione in altura in vista del Giro d’Italia.
Le notizie e le voci di un possibile forfait alla corsa italiana iniziano a intensificarsi, poi però arriva la smentita della squadra che conferma la partecipazione la sua partecipazione.
Siamo a Torino alla vigilia della partenza e Bernal vuole ritrovare se stesso per poter andare avanti. «Era da tanto tempo che volevo parteciapare al Giro d’Italia - spiega -. Mi sono preparato bene, mi piace correre in Italia, ma voglio vedere come mi sentirò. Per me questo è un test importante».
Bernal è uno dei favoriti per la vittoria finale e può contare su una squadra forte, che avrà la possibilità di sostenerlo per tre settimane. Il Giro d’Italia per la Ineos Grenadiers parte subito bene e a Torino Ganna conquista la cronometro d’apertura e la maglia rosa. Ma tutti sanno che quella maglia Ganna sarà costretto a cederla per proteggere il proprio capitano. La cavalcata di Bernal per conquistare la maglia rosa, inizia con la nona tappa e l’arrivo in Abruzzo a Campo Felice. Il colombiano vince davanti a Ciccone, Vlasov ed Evenepoel.
Il Giro d’Italia va avanti e si arriva alla temuta tappa di Montalcino. Bernal corre da protagonista sulle strade bianche e stacca i rivali mentre Remco Evenepoel va in crisi.
Un altro scossone in classifica, , quello decisivo,arriva con la sedicesima tappa, quella con il traguardo a Cortina d’Ampezzo: Fedaia e Pordoi vengono tolti a causa del maltempo, scoppiano le polemiche, Bernal confessa che era pronto ad affrontare il percorso originale. «Conoscevo le salite, avevo fatto una ricognizione. Mi dispiace che la tappa sia stata accorciata, io ero pronto per farla tutta, ma ho deciso di seguire quello che volevano gli altri corridori».
Bernal vince ancora e questa volta lo fa davanti a Bardet e Caruso: la rasoiata della maglia rosa è profonda e sono in tanti a farsi male.
La crisi, però, arriva per tutti e Bernal la incontra a Sega di Ala, dopo il giorno di riposo: soffre e Simon Yates, scatenato più che mai, prova a riaprire il Giro. «Non si può essere sempre al massimo. Nel giorno di riposo forse ho mangiato di meno e per questo ho reso di meno. Ma il mio vantaggio c’è ed è buono e io sono sereno».
Yates attacca ancora sull’Alpe di Mera, vince e cerca di riaprire i giochi per la classifica ma Bernal stavolta gestisce, capisce che ad essere pericoloso è Caruso e non il britannico. «Damiano è più pericoloso di Yates e in tappe come questa, un errore può costarti caro».
All’Alpe Motta, nell’ultima tappa in salita, c’è Caruso questa volta in testa. Il siciliano corre veloce insieme a Pello Bilbao che lo scorterà fino ai piedi dell’ultima ascesa. Il capitano della Bahrain Victorious arriva primo con il colombiano a 24” secondi, bravissimo nel difendersi senza mai rischiare nulla, ma ormai i giochi sono fatti e a Milano c’è il trionfo di Egan.
«Sono contento per Damiano - confessa Bernal -, ha corso bene e merita di salire sul podio. Spero solo che domani non vada troppo forte nella prova a cronometro, così io resterò primo e lui sarà secondo».
A Milano tutto è pronto per accogliere il vincitore e Bernal finalmente, può alzare il Trofeo senza Fine, simbolo della corsa rosa. A Milano Egan rinasce, piange, si commuove, abbraccia il padre e bacia con passione la fidanzata Maria Fernanda.
«Questo risultato mi fa sentire molte emozioni dopo i due anni difficili che ho avuto. Il periodo dopo la mia vittoria al Tour è stato più difficile che vincere la gara stessa. Ma ora sono tornato».
Le emozioni in questi ventuno giorni di corsa sono state tante. Lui, nato lo stesso giorno di Marco Pantani, alla corsa rosa ha conosciuto Tonina, mamma di Marco, che con affetto sincero lo ha abbracciato. Il campione a Piazza Duomo è tornato a sorridere e nella conferenza ha raccontato la sua vita dal 2019 al 2021.
«Vincere il Tour de France è il sogno di ogni giovane corridore e lo è stato anche per me. Questo ha anche sconvolto tutta la mia vita. Ho vinto il Tour giovanissimo e questo ha avuto un impatto enorme, soprattutto in Colombia. Non sapevo più cosa fare della mia vita. Ero completamente perso, così era cambiata anche la motivazione per continuare a lavorare sodo. Mi sono allenato sempre, ma per il resto non ero lo stesso Egan di prima. Ciò era in parte dovuto a una serie di cambiamenti nella mia vita personal e in seguito ci sono stati anche i problemi alla schiena, che mi hanno impedito di dimostrare quanto valevo. Ma ho reagito e ora sono di nuovo in gioco. Sto ancora lavorando per raggiungere un livello più alto, ma è tornata la voglia di vincere e correre».
Il ragazzo partito dalla Colombia ha compiuto un’altra grande impresa e adesso inizia a guardare ad un futuro nel quale il ciclismo potrebbe non essere più al primo posto.
«Ho vinto un Tour e un Giro e ora voglio concentrarmi principalmente sulla vittoria della Vuelta. In passato ho pensato a un lavoro come giornalista, ma ora penso principalmente a una vita in casa con i miei animali: i miei tre cani, una mucca e le galline. Con la mia ragazza e la mia famiglia. Non ho davvero bisogno di così tanto per essere felice. La felicità è nelle piccole cose, non certo nelle cose materiali. Vincere due grandi giri nella stessa stagione? Non penso che sia qualcosa adatto a me. Sono talmente vuoto adesso che non andrei al Tour neanche se me lo chiedessero».