Le voci che parlano, il silenzio che parla
di Gian Paolo Ormezzano
L’ amico Beppe Conti non mi basta, lui bazzica superbene in televisione, da grande esperto e da grande innamorato, con il grande ciclismo e con i grandi del ciclismo, già lo scoccio eccome per informazioni sul passato neanche tanto remoto e sul presente pieno di nomi ostrogoti (Van Aert, Van der Poel, in arrivo Evenepoel, aiuto). Forse ci vuole Luciano Boccaccini amicone esso pure, straordinario personaggio di Comacchio, con memoria pazzesca per ricordare le date di nascita di tutti i ciclisti visti, letti, anche raccontati da lui e da altri, Luciano giornalista e scrittore e pedalatore. Ricorda pure i dati anagrafici di tutti gli scrivani del ciclismo, lui archivio deambulante sulle acque delle sue valli, quelle dove si coltiva l’anguilla (coltivare è verbo esatto, c’è amore, si coltiva anche una usanza, un ricordo). Comacchio dei ponti e canali alla veneziana, della soda allegria emiliana (provincia di Ferrara), della romagnolità non solo agognata e latente, ma spesso esibita dai suoi abitanti. Comacchio centro l’estate di un turismo marino su facili bonarie spiagge per bambini supportato da una gastronomia ittica - sardine acciughe cefali e anguille anguille anguille - per turisti senza puzza al naso.
Comacchio di Laura Fogli superpodista azzurra che, dopo avere instradato (nel senso proprio di messo in strada) alla maratona un giornalista sportivo - certo Gian Paolo Ormezzano, che corse sino a compimento fachiresco quella di New York e quella di Torino nel 1995 e nel 1998, con giusto intervallo di recupero fra le due prove - si dedicò a miracolare Gianni Morandi facendo di un cantante grezzo un maratoneta fine.
Voglio, vorrei qui ricordare ciclisti speciali, non fortissimi e in certi casi nemmeno forti, che mi diedero il gusto del mestiere con la loro amicizia calda e di lunga gittata. Mi sono tornati in mente quando ho “sentito” con tristezza il silenzio servile dei riccastri calciatori del campionato italiano sulla folle proterva idea di una superlega. Quanto vale un urlo come quello di Wadimiro Panizza, un quasi grande, che in crisi sull’Aprica si ferma, getta lontano la bici e mi grida: “Siamo bestie, bestie, sei d’accordo? E se non lo sei la bestia sei tu”? Quanto vale Ercole Gualazzini che feroce mi dice di stare zitto sennò mi deve ammazzare, quando lo prendo in giro, in una corsa lunghissima, una maratona delle due ruote postGiro, per il suo distacco e per le sue smorfie dolorose, e gli dico che aveva ragione il papà suo a volerlo geometra? Quanto vale Claudio Chiappucci che vince la Sanremo, va verso la postazione televisia, per caso sbatte contro di me e da me che tifo Toro viene invitato a non dedicare la vittoria alla sua Juventus, sarebbe blasfemo, e mi fa: “Vado adesso in televisione, grazie per avermi ricordato la dedica alla mia Juve”? E quanto vale lo stesso Diablo, che, in Messico dove si era guadagnato il soprannome, mi vede e dice: “Dovevo sapere che eri qui, il tramonto stasera è pesante di colore granata”?
Quanto vale quel gregario che mi dice “non c’è di che” allorché nel 2019 lo ringrazio pubblicamente per avermi lasciato un letto nella sua camera d’alberguccio al Tour 1965, penultima tappa, e manco mi fa notare che ho sbagliato, non era lui ma un suo compagno di squadra? Quanto vale Felice Gimondi che mi spedisce a Torino le due sue figliolette perché io faccia conoscere a loro Cabrini beneamatissimo terzino della Juventus, il bell’Antonio che avevo presentato io - lui lo ha saputo - pochi giorni prima alle due figliolette mie, ed evita, Felice, di chiedermi se sono sempre tifoso granata? Quanto vale Guido Carlesi che, tanto tempo dopo il ritiro dalle scene, un 31 dicembre mi incrocia sulle strade della sua Toscana e mi fa passare il fine d’anno a casa sua, per mangiare con lui e i suoi un divino cinghiale cacciato chissà come?
Quanto vale Alcide Cerato che, smesso di pedalare e passato al business delle pompe funebri, diventando un tycoon del ramo, nella sua supervilla in Costa Smeralda chiede al suo ospite che sono poi io cosa può fare per non dover sempre dire, quando gli chiedono che mestiere fa, “sono un becchin”, e io gli propongo di diventare l’editore/mecenate di una rivista letteraria sulla morte e nasce così “La Buonasera”, paga tutto lui e io vado alle principali televisioni a farmi bello della bella cosa?
Una volta in Venezuela, campionati mondiali ciclistici, anno 1977, il collega Claudio Colombo, che sempre sia lodato, mi disse, paragonando calcio e ciclismo, che “comunque un allungo di Simone Fraccaro vale tutte le dichiarazioni di Pelè o di uno come lui”. Fraccaro è un passista appena discreto, ma sono d’accordo con Claudio e per il ciclismo. Quanto vale Eddy Merckx che mi sa in Belgio e al telefono mi pesca dall’Olanda e mi dice di andare a cena a Kraainen in casa sua, lui arriverà, la moglie è avvertita? Di molte di queste cose ho già scritto e penso che ne riscriverò. Tante frasi “qualunque” dei miei ciclisti valgono umanamente più di tanti discorsi (preparati magari dagli esperti in pierre) dei miei calciatori. Anche e specialmente quando i calciatori si impegnano per far “sentire” il loro clamoroso fragoroso vergognoso silenzio. Come di recente. O no?