di Carlo Malvestio
Thomas Pidcock si potrebbe comodamente inserire in due categorie di corridori: la prima racchiude quella generazione di fenomeni, nati dal 1997 al 2000, che stanno cominciando ad imporsi sui traguardi più importanti del grande ciclismo; la seconda, invece, è quella dei corridori poliedrici che vanno forte in tutte le discipline e di cui Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel sono validissimi porta bandiera. In qualunque categoria lo si voglia collocare, insomma, è abbastanza chiaro che stiamo parlando di un potenziale fenomeno. Non solo per gambe, ma anche per testa.
La facilità con cui ha vinto il Giro d’Italia Under 23 è stata quasi imbarazzante, sembrava appartenere ad un’altra categoria; tre vittorie di tappa e la classifica generale, con Kevin Colleoni, terzo nella graduatoria finale, che ha chiuso a quasi sei minuti di distacco. Per il britannico di Leeds, nato nel 1999, la Corsa Rosa ha rappresentato l’ultimo step verso il passaggio - finalmente - al professionismo, che avverrà direttamente dalla porta principale, ovvero dalla Ineos Grenadiers. Con l’addio di Chris Froome a fine anno, direzione Israel Start-Up Nation, Sir Dave Bailsford ha voluto subito coprirsi le spalle assicurandosi il talento più cristallino del ciclismo inglese.
Pidcock, se avesse voluto, avrebbe potuto passare professionista già quest’anno, se non addirittura nel 2019, ma la sua ferma intenzione era quella di godersi la sua gioventù finché poteva, lontano dalle pressioni del mondo dei grandi. E poi chi glielo faceva fare di accantonare la sua prima grande passione, il ciclocross? Così l’anno scorso, dopo aver vinto la Parigi-Roubaix Espoirs (l’aveva vinta anche da junior), il Tour de Alsace con assolo sulla Planche des Belles Filles - dove guarda caso un altro giovanissimo, stavolta sloveno, ha recentemente scritto la storia del Tour de France - abbandonato il Tour de l’Avenir a causa di una caduta mentre era in lotta per la maglia gialla e conquistato la medaglia di bronzo ai Mondiali dello Yorkshire, il britannico ha deciso di rispedire al mittente tutte le offerte per un contratto professionistico. Il Team Wiggins, dove militava, ha dovuto chiudere i battenti, così Pidcock, che è sponsorizzato da un colosso come RedBull, ha scelto la Trinity Racing, una squadra inglese di ciclocross che quest’anno, per l’occasione, ha aperto i suoi orizzonti anche alle gare su strada.
Nel ciclocross è stato campione nazionale, europeo e mondiale sia da junior che da U23, così lo scorso inverno ha esordito con gli Élite, dando l’ennesima dimostrazione di un talento fuori dal normale. Dopo qualche settimana di ambientamento, infatti, il 21enne di Leeds ha conquistato la medaglia d’argento al mondiale di Dübendorf, alle spalle di Van der Poel, lasciando intendere che è solo questione di tempo prima che si prenda la maglia arcobaleno anche della massima categoria. Nella stagione 2020/21 di ciclopratismo sarà sicuramente tra i favoriti per il titolo iridato, anche se sarà interessante vedere come gestirà l’impegno strada-ciclocross e come, soprattutto, si comporterà la Ineos a riguardo. Senza contare che quest’anno Tom ha anche preso parte a qualche gara di MTB, con il rischio che presto possa nascergli una nuova passione.
Il giovane inglese è l’ennesimo esempio di come la multidisciplinarietà sia un modello vincente. Certo, non tutti sono Van der Poel, Van Aert o Pidcock, ma l’impressione è che chi arriva alla strada dal ciclocross o dalla MTB spesso abbia le carte in regola per avere un ruolo da protagonista. Anche avendo caratteristiche molto diverse, perché Pidcock fisicamente, con i suoi 170 cm scarsi, non c’entra nulla con le leve e la potenza di Van Aert e Van der Poel, eppure sul fango e sui prati il suo livello si avvicina molto a quello degli altri due poliedrici fenomeni. D’altro canto, il suo fisico esile gli permette di volare in salita, e al Giro U23 lo ha dimostrato chiaramente, spianando persino il Mortirolo, cosa che invece Van der Poel, per esempio, sembra ancora lontano dal riuscire a fare. Finora Pidcock ha fatto un po’ quello che voleva, correndo un po’ qua e un po’ là, ma, verosimilmente, nel 2021 potremo finalmente cominciare a conoscerlo meglio. Senza dubbio si può dire che sia un bel personaggio, dalla forte personalità, e senza troppi peli sulla lingua, con le caratteristiche giuste per diventare un simbolo di questo sport.
In un’intervista a Cyclist di qualche mese fa spiegava che non gli piaceva per niente come i giovani si stavano approcciando al mondo del professionismo, venendo spremuti ancora prima di compiere 20 anni, ma d’altro canto riconosceva che fin quando i risultati sono questi, è difficile poter chiedere un cambiamento. Per questo motivo, però, fino ad ora il suo unico obiettivo è stato quello di divertirsi in sella alla sua bicicletta.
L’ambizione però non gli manca e se gli si chiede qual è la corsa dei suoi sogni risponde con il tris «Tour de France, Parigi-Roubaix e Mondiale»: insomma, l’identikit di un corridore che non vuole porsi limiti e punta vincere su tutti i terreni.