UNIVERSALITA'
di Gian Paolo Ormezzano
Il ciclismo agonistico ha inventato pro nobis tantissime cose, e tentiamo un elenchino giusto per rendere più chiara la seconda parte l’insieme di questo articolo. Ha perfezionato la più semplice ed efficace mediazione a scopo di movimento che si conosca fra uomo e strumento (per la verità gli ippofili pospongono la bicicletta al cavallo, arrivando a definirla benevolmente cavallo d’acciaio: ma si scivola nel regno animale, e si apre casomai un altro tipo di discorso). Ha dato la spinta probabilmente massima allo sviluppo della stampa sportiva e con essa, per lo sport tutto, dell’agiografia, della museistica, dell’epica umana spesso con prezioso, mistico e mitico condimento geografico, persino della letteratura e della poesia. È andato a trovare la gente direttamente sulle soglie delle case di paesi e città, e quando l’ha fatta scomodare le ha proposto spettacoli naturali ed umani speciali, sui grandi monti ad esempio.
Per gli amatori dello sport scientifico, misurabile, il ciclismo agonistico ha inventato le gare su pista, le distanze cronometrate, i primati legati ai numeri del tempo, cioè quelli meglio trasmissibili e credibili, ex aequo con i primati espressi in centimetri, ai quali primati fra l’altro si aggrega il record dell’ora in bicicletta, un record completo fatto di spazio e di tempo, come nell’atletica regina. Ha sposato, specie ultimamente, grandi innovazioni tecnologiche della bicicletta, conservando però materialmente l’essenza anche visiva dello strumento primigenio e spirituale della fatica ad esso connessa. Ha offerto ai suoi praticanti la frequentazione del vento forte della gloria e la frequentazione della più onesta sofferenza umana, chiara e forte da vivere e da far vivere. Ha resistito alla meccanizzazione da progresso, al motorismo della religione dei gas combusti al posto dell’incenso del sudore, ha trovato proprio ultimissimamente una nuova vita, persino sulle strade delle città, di natura ecologica impellente oltre che assai etica.
Ha idolatrato i penati di una religione neanche troppo antica, senza però far sì che il culto condizionasse, schiacciasse i poveri posteri, i praticanti recenti, e ultimamente sta assistendo alla ecumenicizzazione della propria religione, diffusa ormai in tutto il mondo e allargata pienamente alla donna (da ricordare, comunque, che Alfonsina Strada correva il Giro d’Italia 1924 con e contro gli uomini), e pazienza se il mondo dell’ippica può schierare, in questa sorta di contesa, le sue storicissime Amazzoni.
Il tutto per dire che anche di fronte alla pesante tragica novità - la pandemia - di un flagello che si pensava ormai irriproducibile in natura, con tutte le conclamate strepitose alchimie del progresso, il ciclismo rischia (verbo pieno di alta positività) di vivere, soffrire, alla fine vincere la sua “battaglia contro il coronavirus in maniera se non altro più interessante di qualsiasi altro sport, e questo nonostante o grazie ai suoi problemi enormi di contatto/presenza col pubblico e di distanziamento degli atleti. Le corse che ritornano, che devono ritornare saranno simbolo di libertà, di vita nuovamente espansa più di ogni altre rassegna sportiva proposta, magari nei limiti e anche con le piccolezze persin buffe con cui ad esempio è stato riproposto il calcio. La sovrapposizione coatta di date fra corse celebri permetterà nel futuro vicino (e diciamo già dal 2021, ovviamente a virus spento) di apprezzare la subentrante e conseguente possibilità per il ciclismo di svilupparsi nel mondo e a livelli sempre alti, in cinque continenti e per dodici mesi all’anno.
Il tutto anche con uso, impiego, celebrazione e smaltimento di atleti espressi da tutto il pianeta, ormai. E scommettiamo che il ciclismo, quando i suoi albi d’oro saranno pieni di nomi dal sound inconsueto, si esalterà con questa universalità: mentre sport pure nobilissimi come l’atletica e il nuoto vivono ancora come una invasione a tinte iconoclastiche le proposte e imposizioni di genti nuove, e quasi furiosamente difendono la sacralità di tradizioni, vivai, culto dell’antiquariato da parte di genti e paesi (basti pensare a come l’atletica ha accolto con quasi diffidenza l’avvento o meglio la supremazia degli africani nel mezzofondo, dei caraibici nella velocità, per non dire dei cinesi a priori sospettatissimi di pratiche vietate (quei cinesi alla fin fine addirittura respinti nel nuoto, dal nuoto, dopo una repente invasione/dominazione).