SOTTO IL SOLE DI FRANCIA
di Gian Paolo Ormezzano
Terzo e forse (forse, attenzione) ultimo capitolo di memorie mie speciali legate a colleghi sommi o buffi frequentati ed amati nel corso di una lunga vicenda giornalistica personale incentrata soprattutto sul ciclismo. Con un viaggiare di ricordi anche all’estero.
Carlo Bergoglio detto Carlin. Piemontese totale, torinese ma devoto al Canavese, miniterritorio che sta a Torino come la California tutta a Los Angeles, sabaudo di modi garbati e sottili, mio maestro e mio lanciatore nel mestiere, lui tifoso di Bartali e Juve, io di Coppi e Toro, e lui che mai mi chiese di fare outing, per non scoprirmi o nemico o ruffiano. Garinei e Govannini, grandi scrittori di riviste teatrali, al Giro per la prima volta sfilarono accanto alla vettura di Carlin e, riferendosi al nome del suo giornale, gli chiesero “Tuttosport?”. Carlin rispose di sì. Tre domande identiche e Carlin ormai scocciatello, e uno dei due che allora gli chiese: “Tutto sport e sesso niente?”.
Gianni Brera - Superstimatore epperò nemicissimo di Carlin, Lombardia vs Piemonte e reciproca scelta estetica più che etica di rivali validi, stimolanti, nobili. Gianni mi voleva bene, sapeva che di bene ne avevo eccome per lui ma anche per Carlin, mai mi sollecitò - nel mio piccolo - a schierarmi. Un giorno gli scappò detto (e poi anche scritto): “Però quel tuo Carlin scrive bene come Anatole France”. Grazie, Gianni.
Bruno Roghi. Scrittore finissimo, alla breve direzione di Tuttosport per l’occaso della sua gran vita di cantore specie del ciclismo: i Mondiali su pista. La finale dello sprint o dell’inseguimento a tarda ora, lui scriveva e trasmetteva tre articoli: se vince Caio o se vince Tizio o se si arriva ad un orario estremo che uccide anche l’ultima edizione. Grandi lezioni di umiltà operaia, date da un artista.
Jacques Goddet - Suo fratello aveva fondato, con Henri Desgrange, l’Equipe e quindi il Tour de France che lui dirigeva. Vestiva per la tappa da ufficiale delle Legione Straniera in pieno Sahara, camicia e braghette di tela caki, in testa kepi antisole. Scriveva per la prima pagina del quotidiano sportivo vangelo per tutti noi pezzetti brevi, sentenziosi e retorici il giusto. Gli parlavo appellandolo “monsieur Goddet” e lui mi regalava subito un “cher confrère”, ovviamente senza sapere chi io fossi.
Félix Lévitan - Giornalista anche lui (del Parisien Liberé), vicedirettore di corsa al Tour, parlava alla radio di bordo con Goddet usando la lingua di Molière ai suoi massimi. Mai diceva “io posso”, ma “je suis en mesure de…”. Padrone degli eventi anche mentre sul Mont Ventoux il corridore inglese Simpson moriva di doping e sole e cognac. C’era di sicuro lui tra gli ufficiali francesi del film premio Oscar “All’ovest niente di nuovo”, scritto da Remarque e diretto da Milestone.
Antoine Blondin - Grande scrittore francese, premiatissimo e sempre senza un soldo e pieno di debiti, autore fra l’altro del libro “Una scimmia d’inverno”, che diede vita ad un grande film con Jean Gabin e Jean-Paul Belmondo. Rissoso amico dell’alcol, sempre impegnato nel pugilato di strada (boxeur de rue). Lo andai a trovare nella sua stanza d’affitto in pieno Quartiere Latino a Parigi, l’usciere gli aveva sequestrato tutto fuorché il letto, due sedie e il tavolino. Si scusò per la birra non ghiacciata, l’usciere si era portato via il frigorifero poco più che tascabile. Gli dissi che adoravo la birra tiepida.
Pierre Chany - Leader (si diceva così) della rubrica di ciclismo su L’Equipe. Bello come un Gerard Philippe del giornalismo sportivo, donne a go-go. Alcuno colleghi prepararono un libro-sorpresa di testimonianze, da regalargli per i cinquanta anni di carriera, morì pochi giorni prima della festa prevista, mi dolsi anche perché non aveva potuto leggere il mio succinto omaggio: “Mi ha insegnato il francese ed il ciclismo”. Era stato lui a regalare a Blondin il piccolo frigorifero.
Miguel Utrillo - Immenso collega spagnolo anzi catalano anzi di Sitges, gran mare a ovest di Barcellona e roccaforte dei catalani gay contro il dittatore Franco. Amicone di Dalì, era figlio dell’avvocato Utrillo che aveva adottato un pupo di una ballerina francese: il fratellastro di Miguel era poi il diventato il grande pittore Maurice Utrillo, e Miguel diceva “Maurice, mon frère” (parlava francese e anche italiano) pur se lo aveva conosciuto poco. Non vedevo Miguel da vent’anni, a Sitges lo riconobbi da lontano, avanzava verso di me, era un Hemingway alla catalana, gli dissi in italiano: “Ma sei Miguel?”: E lui in italiano e abbracciandomi e si capisce ritrovandomi: “Porca merda comendatore”.