MEMORIE CICLISTOSE
di Gian Paolo Ormezzano
Voglio tentare, divertendomi ma spero anche divertendo, di mettere i giornalisti di ciclismo o comunque simpatizzanti della bicicletta che ho frequentato al Giro e al Tour (28+15 edizioni, mica bruscolini) in una sorta di padiglione con specchi deformanti: nel senso che di essi racconto caratteristiche bizzarre, che pure mi colpirono, sempre - sia chiaro - con rispetto e per molti di loro con riconoscenza e ammirazione. Vado alla rinfusa.
Ruggero Radice detto Raro (Ra-Ro da Roger, era nato in Francia). Io suo sottoposto al mio primo Tour, anno 1960, e lui mi impediva di perfezionarmi nel francese (ero già bravino), parlava sempre lui perché il Tour tutto era cosa sua, compresi i colleghi, gli organizzatori, i giudici di gara, per non dire dei ciclisti. Mi ha torturato con uno sdegnato silenzio di ore dopo che, per via di un repente mal di pancia in corso di tappa, avevo lasciato un po’ di mio concime in un campo, e accanto avevo lasciato anche il pass da giornalista, scivolatomi via, e a lui irato per il sacrilegio avevo detto che in fondo il contadino, vedendo il mio deposito con accanto un cartellino che diceva tutto del depositante (età, residenza, mestiere, persino una foto), avrebbe pensato che il Tour gode di una superoganizzazione. Ma devo a Raro molto lo stesso.
Bruno Raschi. Mio supplente a scuola in prima media, quando lui era Fratel Albertino delle Scuole Cristiane, mio maestro a Tuttosport. Passato alla Gazzetta dello Sport ne ha alzato il tono anche letterario. Un grande: e pensare che mica amava lo sport.
Ermanno Mioli e Dante Ronchi. Il duo del giornale Stadio per le interviste e la cronaca (per i commenti Remo Roveri). Sincroni, mai rivali, sempre allegri, pieni di humour, goderecci il giusto, insomma emiliani veri ergo amiconi miei.
Sergio Neri. Abbiamo cominciato insieme da inviatucci ai campionati universitari di tennis, ci siamo trovati insieme a Tuttosport, ha fatto una carrierona al Corriere dello Sport, è diventato fior di editore del ciclismo. Romagnolo praticante, di quelli che stanno lontani dalla loro regione ma qualsiasi cosa di bello vedano dicono che a Cesena è un’altra cosa.
Ennio Mantella e Mario De Angelis. I Ronchi-Mioli del Corriere dello Sport. Ma diversissimi fra di loro, Ennio austero, arcigno, rigido, Mario caciarone, romanescoso, sfottente anche greve. Pativano l’inferiorità ciclistica, come passione e organizzazione, di Roma nei riguardi di Milano, e per tutto l‘anno sospiravano il Giro del Lazio. Sul lavoro sempre bene attenti e preparati.
Sandro Ciotti. Amicone grosso così. Per un bel po’ lui, Adriano De Zan, Alfredo Martini ed io ci siamo impegnati, ad ogni incontro, a raccontare ognuno una barzelletta nuova. Ha vinto dopo anni Alfredo con un lampo in toscano. Uno entra nel solito bar, ha la mascella storta alla Totò, il barista gli fa: “E che tu c’hai?”, “Un trombo”, “Un trombo neppure io, ma mica faccio una faccia così”.
Adriano De Zan. Noi due innamorati di Moana Pozzi, lei all’oscuro dei nostri sentimenti. Al Teatrino di Milano Adriano va a vedere uno show della pornodea: cappello calato sulla fronte, occhiali scuri, sciarpa a coprirgli quasi tutto il viso. Irriconoscibile. O quasi. La superbella fa il numero che si chiude con l’invito ad uno spettatore a un po’ di petting spinto con lei, lì sulla scena. Chiede chi vuol salire. Dal pubblico un coro: “De-Zan, De-Zan, De-Zan”.
Beppe Conti. Con me spesso a fare scherzi. Nizza, partenza del Tour, l’autista mangia con noi le sue prime ostriche, ci imita gesto per gesto, alla fine ci portano le ciotole con acqua tiepida e limone per tergersi le dita. Io: “Anche qui come in Australia il té bianco dopo i crostacei”. Io e Beppe portiamo la tazzina alla bocca, l’autista ci imita, trangugia tutto al volo, e poi dice deluso: “Ma è come acqua”,
Adone Carapezzi. Luglio al Tour, caldo feroce, sosta con l’auto sotto l’ombra di un albero, sfogliando i giornali: il Brasile calcistico in tournée estiva europea sta umiliando i club francesi, uno dopo l’altro con punteggi pesanti. Il Tour ha appena lasciato Lourdes, Adone invita al silenzio mentre ad alta voce legge, inventandoselo, un titolo del suo giornale: “A Lourdes Brasile sconfitto 6 a 0 dalla squadretta locale”.
Fulvio Astori. In una tappa dolomitica provo a prendere gli eccitanti che prendono i corridori, su consiglio di un grande ex. Tredici pastigliette e pastigliacce in tutto. Un esperimento sotto controllo medico. A Trento città di arrivo la sala-stampa è in una scuola, nella mia aula lavora anche Fulvio, mi vede slalomare fra i banchi, mi chiede: “Sei drogato?”. Gli rispondo di sì e lui fa la faccia di quello che mica si lascia fregare dalle mie panzane.
René Dunan. Grande editorialista francese smistato sul Tour da France Soir. Si dice che abbia avuto una bella storia con Edith Piaf. Tolosa, stracaldo, siamo al bar a bere, passa un protovucumprà, offre tappeti, René gli chiede il prezzo, 500 franchi l’uno. “Fai il giro della città, io aspetto per due ore, se non vendi niente te ne compro uno, ma per 100 franchi”. E il marocchino: “Perché devo fare il giro? Te lo lo do subito, dammi i 100 franchi”. René il grande è costretto da noi a comprare.
Sergio Zavoli. Inizio del Giro, tappa in Liguria, sul podio Gimondi neoprofessionista, c’è stata bagarre, Anquetil ha perso qualche secondo. Interviste del dopocorsa, in diretta televisiva Zavoli chiede a Gimondi di sintetizzargli cosa è accaduto e il timido casto giovanissimo Felice gli dice. “Un gran casino”. Per i tempi è turpiloquio, Zavoli lo sospende per alcune tappe.
(continua con Ambrosini Fossati Verratti Melidoni Ranieri Mosca Feltri Blondin Chany ecc.)