Lo stesso film
di Cristiano Gatti
Via, non facciamo i finti tonti: passano epoche e generazioni, ma siamo sempre al punto di partenza. C’è sempre un medico guru, c’è sempre la coda di fuori, c’è sempre un clima da malavita, c’è sempre qualcuno che dice ma quale doping, ormai il doping è finito.
E invece: passano i decenni e siamo di nuovo punto e a capo. Adesso la geografia degli alchimisti satanici tocca l’Austria, terra che nella nostra iconografia personale figura con tanti pascoli, tante vacche, tante Heidi, tanti funghi, ma che mai e poi avremmo collocato sul mappamondo dei loschi traffici. Mai dire mai, confermato. Anche lì, persino lì, sportivi di varia estrazione andavano alla mangiatoia del doping. I ciclisti, sempre presenti. Tra i più fedeli. Una storia che sembra di avere già letto e riletto mille volte, talmente stereotipata da diventare noiosa e stomachevole ai soli accenni iniziali. Persino quelli che io ci sono andato per curiosità, ho consegnato le sacche, ma non le ho mai usate: persino loro, banali e ripetitivi, nella versione infantile e nella convinzione che tutti noi fuori dal giro siamo dei babbei rimbambiti.
Ammettiamolo: ne abbiamo talmente sentite, che soltanto dire di nuovo operazione doping ci fa sentire sazi e satolli, come quando ci propongono il dattero alla fine del baccanale natalizio. È nausea, nient’altro che nausea. Piacerebbe tanto che ormai si risparmiassero le chiacchiere e si passasse in automatico alla punizione: senti ciccio, hai provato la furbata, ti è andata male, ti abbiamo beccato, saluta la bicicletta e dille addio per sempre. Sei radiato, sparisci dalla circolazione.
Personalmente è quello che sogno da almeno un ventennio, da quando è venuto giù tutto, in un fragore di choc e di incredulità. Gli anni dello scandalo Festina, gli anni di Campiglio, gli anni dell’Operacion Puerto, gli anni di Armstrong. Ogni volta a dire la stessa cosa, almeno da parte mia: in piena emergenza servono rimedi d’emergenza, le squalifiche non servono più, bisogna radiare. Con la precisazione determinante: è da veri idioti illudersi di eliminare il doping, è come pensare di eliminare il male dalla vita. Tutto quello che si può fare è perseguire il malfattore, in qualunque sede e in qualunque modo, rendendogli l’esistenza difficile con una prospettiva per niente carina: se ti becco, hai chiuso.
Ma guardiamoci allo specchio, senza sviare lo sguardo: qui siamo attorniati da gente che allegramente ha scontato la sua ridicola squalifica e che - se non torna a correre - prima o poi torna nel giro come direttore sportivo, team manager, talent-scout, mental coach, motivatore, personal trainer, magazziniere, massaggiatore, perché un ruolo comunque glielo inventiamo. Il ruolo più terribile: quando certe lenze vivono la seconda vita tra i ragazzini alle prime armi. Non oso pensare che cosa insegnino.
L’unica storia che in tutti questi anni mi ha convinto, non so perché, è quella di Leonardo Piepoli. Lui sì ha svoltato, lui sì non si è risparmiato niente, lui sì ha espiato, lui sì è l’esempio alla rovescia che può servire tantissimo al riscatto di una certa cultura. Purtroppo, non ne conosco tanti altri. Ne conosco tantissimi che invece si sono riciclati alla svelta con travestimenti vari. Con un opportunismo da fuoriclasse. Li avessimo radiati, una volta per tutte, una volta per sempre, almeno non ce li ritroveremmo tra i piedi di nuovo. E almeno non sarebbero qui a dimostrare che comunque il doping non è poi un pessimo affare: per male che vada, un domani lo concede sempre.
Lo so. Una seconda possibilità non va negata a nessuno. La radiazione si porta dietro il pessimo sapore della crudeltà. E Nostro Signore alla fine ha perdonato persino il peggiore dei ladroni. So tutto quello che le anime belle accatastano sulla barricata per fermare la tentazione della squalifica draconiana. Ma ormai sono sazio anche di questo. A forza di non prendere in considerazione regole d’emergenza per un clima d’emergenza, a forza di non voler apparire disumani, guardiamoci attorno e contempliamo il panorama: nelle verdi vallate d’Austria risuonano sirene e tintinnio di manette. In attesa della prossima tappa, nell’interminabile Giro del doping a emissioni zero. Zero problemi.