Mi hanno insegnato che il doping, grosso modo, è qualunque cosa riesca ad alterare il regolare andamento e il conseguente risultato di una competizione. Se l’operazione non appare troppo acrobatica, vorrei qui parlare di un doping vergognoso e spudorato che sta alterando il regolare andamento dei campionati di calcio e i conseguenti risultati. Non è un ormone, nè un intruglio chimico (come ci spiegano ogni volta le verginelle cadute ai controlli, il calcio non ha bisogno di queste sostanze). E non è neppure il doping di un singolo o di un gruppo: è un doping di società. Dovendolo definire, andrebbe dipinto come il subdolo e famigerato doping finanziario.
Che cos’è, si sparano in vena dei bonifici bancari? Non esattamente. È qualcosa di molto peggio: alcuni club diventano ipertrofici, costruendosi dei giganteschi muscoli da sfoderare sul mercato, ricorrendo a trucchi scandalosi. Il tutto nella più assoluta impunità. E anche quando qualcuno viene colto in fallo, scatta l’arbitrio più osceno: si cambiano - o si aboliscono - le regole in corsa. E via ad omologare risultati che nessun giudice sereno e imparziale omologherebbe mai.
Ho capito, è meglio fare qualche esempio e qualche nome. Facciamoli. Non c’è problema, anche perché nessuno di quelli che citeremo ha titolo per querelare chicchesia. Partiamo dalla capitale d’Italia, a caso. In questa capitale ci sono due società che se la tirano molto, che picchiano il pugno sul tavolo, che vogliono abbattere lo strapotere del nord, che montano boria dopo due vittorie consecutive, ma che in realtà hanno le pezze al sedere. Sto esagerando? Mettiamo pure che io stia esagerando: ma come va definito allora un tizio che non paga gli stipendi ai suoi dipendenti dal mese di maggio 2003 e che deve trovare settanta miliardi di vecchie lire nel giro di poche settimane? Caso mai non fosse chiaro, è la situazione di Franco Sensi, il signore autoinvestitosi della missione salvifica di ribaltare i poteri del calcio, forse per stabilire come regola che vince lo scudetto chi assomma più debiti nel minor tempo possibile.
Inutile sprecare molto spazio per l’altra sponda del Tevere, che in ambito sportivo non è il Vaticano, ma la Lazio modellata a immagine e somiglianza della premiata ditta Cragnotti. Difatti, questi sono i risultati: un abisso di debiti, i creditori fuori dalla porta, l’esigenza disperata di trovare liquidità. Eppure, la Lazio come la Roma negli ultimi anni si sono fregiate di grandi risultati. Arrivo al punto: che cosa diciamo di un corridore che vince la Parigi-Roubaix o il Giro di Lombardia e poi viene pescato positivo all’antidoping? Mediamente, nel ciclismo diciamo che ha rubato la corsa e che bisogna levargli il trofeo. Ecco, pongo una domanda che mi sembra elementare, ma che evidentemente nel calcio suona blasfema: perché la vittoria della Lazio sulla Juve, o della Roma sull’Atalanta, viene considerata valida? So benissimo che magari i giocatori non risultano dopati. Ma qui c’è qualcosa di peggio: tutta la squadra è dopata. In senso lato, certo: ma ugualmente decisivo. O forse anche di più. Questa Lazio, o questa Roma, o questa squadra X ammessa al campionato anche senza avere i requisiti contabili, ha bilanci che le permetterebbero al massimo di schierare i ragazzini della squadra allievi. Invece no: contro ogni criterio di giustizia, compra e manda in campo campioni dei più svariati continenti. Chiedo: e la Juve, o qualsiasi altra società che abbia i conti in regola, perché mai dovrebbe accettare come regolare un risultato così falsato? Allargando il discorso: perché l’Atalanta, che è la mia squadra, va in serie B non potendosi permettere Stam e Stankovic, mentre Lazio e Roma, che pure non potrebbero permetterseli, se li permettono e magari vincono pure lo scudetto?
Lascio le domande alle risposte del pubblico più sportivo e più lucido. Così, come tema di discussione e di riflessione. Ovviamente, di questo pubblico non può far parte il tifoso medio del calcio, che notoriamente non capisce una verza. Pensate, il tifoso del calcio si beve persino il teatrino di questo Sensi che un giorno vuole lasciare la Roma e un altro giorno promette di restare a vita, investendo ancora di più. Ma quale “vuole”: i Sensi del nostro campionato non sono più in grado di volere niente. Devono. E basta. Devono vendere, devono coprire le voragini, devono farsi da parte. O vogliamo davvero credere che soltanto la Fiorentina fosse disastrata e insolvente? Personalmente, se devo ridere di una barzelletta, preferisco che a raccontarla sia Bisio, o Fiorello. Quelle dei Sensi e dei Cragnotti devo farmele spiegare.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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