Ballan: «L'onestà non sempre paga, ma ora ridatemi il gruppo»
PROFESSIONISTI | 16/08/2015 | 11:23 «L’onestà nel ciclismo non sempre paga. Se quando sono stato ascoltato dalla Procura antidoping fossi stato bugiardo, probabilmente non sarei mai stato squalificato». La telefonata sveglia Alessandro Ballan dal riposo pomeridiano. Dalla voce si capisce che l’umore è abbastanza basso e non certo per la chiamata. La scadenza della squalifica per il coinvolgimento nel processo di Mantova sul caso «Lampre-Nigrelli» scade domani mentre il processo penale, dove in pratica i corridori non rischiano nulla, scivola lento e inesorabile verso la prescrizione. Così da lunedì Alessandro potrebbe tornare in gruppo. Il buio dovrebbe lasciare spazio al sole, ma non sarà così.
Ballan, nonostante il gran lavoro del suo manager Mauro Battaglini, per ora non ha squadra. Quando la porta si sarebbe potuta aprire è stato qualche ufficio marketing a girare la serratura. Niente da fare. Le ultime stagioni sono state un calvario: la grave caduta in ritiro poi lo squalifica. Però Ballan è pur sempre l’ultimo campione del mondo italiano e l’ultimo dei nostri a dominare il Fiandre. Insomma, non è il fante di picche, è un campione. E allora cominciamo dall’inizio, riavvolgiamo il nastro.
Ballan, la salute come va? «Sono guarito al 100 per cento. I problemi conseguenti alla caduta nel 2012 sono superati. Ci sono volute tre operazioni all’addome e una al femore, ma ora è tutto ok».
E gli allenamenti? «Mi sono sempre tenuto attivo, seppure tra alti e bassi».
Il momento più duro? «Mah, sono stati talmente tanti.... Forse quando è arrivata la squalifica, non me l’aspettavo così pesante. Mi sono sentito colpito».
Mai avuto voglia di mollare? «Certo, nei primi quindici giorni non andavo più in bici. Poi ho pensato che molti, anche in situazioni peggiori, sono tornati. Mi sono aggrappato alla famiglia e a qualche amico, da qualcun altro mi sono allontanato. Mi si è riaccesa la lampadina, mi è venuta ancora una voglia pazzesca del gruppo, delle corse, del ciclismo. Questo sport mi ha dato tantissimo. Per me è un amore e voglio ancora bene alla bici».
Che lezione ne ha tratto? «Che a volte nel ciclismo non viene premiata l’onestà. Alla Procura ho spiegato che cosa ho fatto e perché: non volevo alterare le prestazioni sportive, ma guarire da una malattia. Speravo capissero. Niente da fare. E poi...».
Dica. «Poi ho pagato soltanto io. Fossi stato bugiardo, magari mi andava meglio».
Che prospettive di ritorno ha? «Diventa dura. Non ha una domanda di riserva? Il problema principale è l’Mpcc che vieta di tesserare chi ha avuto più di sei mesi di squalifica. Ti toglie tante possibilità, soprattutto per le Professional che aderiscono quasi tutte a questo movimento. Lo fanno per fare bella figura, per avere gli inviti alle corse salvo poi scappare se vengono toccati. Poi non capisco: le regole dovrebbe farle solo l’Uci, il nostro governo mondiale. E io —per le norme Uci — da lunedì torno a essere corridore».
Ma a 35 anni si sente di potere dare ancora qualcosa? «Tanto: cuore, gambe, polmoni, esperienza... Nelle corse in Belgio, soprattutto, posso fare ancora bella figura. Anche in appoggio di un giovane forte potrei essere importante. Credo di poter avere una seconda possibilità, ma non per niente, perché sono ancora un buon corridore».
Quindi su con l’umore. «L’umore era salito parecchio, ma poi con l’avvicinarsi della fine della squalifica senza grandi prospettive è tornato giù. Sono amareggiato».
da «La Gazzetta dello Sport» del 15 agosto 2015 a firma Claudio Ghisalberti
La storia è sempre quella: figli e figliastri.
Ballan, evidentemente, non ha santi in paradiso. A differenza, ad esempio, di Ulissi, Basso, Contador, Valverde e tanti altri che, nonostante siano stati squalificati anch'essi per doping, hanno continuato liberamente a correre e pure nella maggiori squadre e nelle corse World Tour.
Ballan, comunque sia, è un ottimo corridore: il migliore corridore italiano per le classiche degli ultimi anni.
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