Chiude il Museo del Ghisallo per cinque mesi poi, forse riaprirà
ASSOCIAZIONI | 30/10/2013 | 18:17 Il Museo del ciclismo alla Madonna del Ghisallo chiude. Per cinque mesi. Dal 3 novembre fino alla fine del marzo 2014. Poi, forse, riaprirà. Ma solo a certe condizioni. Economiche, ma non solo economiche: anche umane. L’annuncio era nell’aria già tre settimane fa, al Giro di Lombardia. La corsa passava, come la tradizione pretende, sul Passo del Ghisallo, di fianco al Santuario della Madonna, dove il popolo del ciclismo si divide in due muri di tifo e passione. Del Museo si sapeva che le condizioni erano difficili, la sopravvivenza faticosa, con le entrate scarse e le uscite notevoli, appesantite ancora di più dalle spese del riscaldamento. Adesso la situazione sembra precipitata: per due dipendenti (un’impiegata e un operaio) scatta la cassa in deroga per novembre e dicembre, poi il licenziamento con la prospettiva di una riassunzione secondo un altro contratto (tipo stagionale), invece il terzo dipendente (un’altra impiegata) sarà licenziata immediatamente. Contemporaneamente, più della metà dei consiglieri ha rassegnato le dimissioni (fra di loro: l’ex patron del Giro d’Italia Carmine Castellano, Costantino Ruggiero e Gianni Torriani), per vari motivi (lontananza, mancanza di tempo, altri impegni, disaccordo con la gestione); quelli rimasti — una decina, fra cui Giorgio Albani e Marino Vigna — si ritroveranno il 13 o il 14 novembre per riunirsi in assemblea, modificare lo statuto che prevede fra 22 e 29 consiglieri, e conferirsi nuovi poteri. Intanto i vertici del Museo del ciclismo cercano aiuti per mantenere la prestigiosa struttura in vita. Un’impresa.
Le forze del ciclismo Il Museo del ciclismo è grandioso. Spesso viene identificato come il Museo di Fiorenzo Magni, perché è stato «il Leone delle Fiandre» a sognarlo, concepirlo e realizzarlo, mettendoci tutto se stesso. Prima il cuore. Poi la testa. Infine anche i soldi. La sua autorevolezza ha richiamato e concentrato tutte le forze del ciclismo: una gara di solidarietà nel collezionare documenti e materiali, nel reperire forze e finanziamenti. Dalle amministrazioni pubbliche alle aziende private. E s’immaginava e si temeva che, senza Magni, la strada si sarebbe fatta in salita. Così è stato. Complici anche i tempi di crisi, le amministrazioni pubbliche hanno sospeso o chiuso i sostegni economici, le aziende private interrotto donazioni o sponsorizzazioni, e soltanto con gli ingressi (circa 12 mila l’anno, in prevalenza stranieri: il biglietto costa 6 euro) e con il merchandising (libri, magliette…) non si coprono neanche le spese vive. I costi di gestione sono intorno ai 100 mila euro l’anno. Oggi il Museo ha un «buco» di 80 mila euro, e le figlie di Magni, Tiziana e Beatrice, si sono esposte personalmente rinnovando una onerosissima fideiussione bancaria. Il volontariato non basta. E si racconta di quel rappresentante della Regione Lombardia che, saputo che alle riunioni non era previsto un gettone di presenza, e che anzi i soci versavano una quota d’iscrizione, al Ghisallo non si è più visto.
Tanti progetti O forse più speranze che progetti. La speranza di un sostegno con la Federazione ciclistica italiana o addirittura con l’Unione ciclistica internazionale. La speranza di una collaborazione con le tante industrie italiane della bicicletta. La speranza di formare una rete con le scuole, le biblioteche, le società sportive. La speranza di un accordo con la società di assicurazioni legata a Vittorio Adorni. E la speranza di organizzare un calendario di manifestazioni che rendano il Museo un centro di gravità permanente.
da «La Gazzetta dello Sport-Milano», del 30 ottobre 2013 a firma Marco Pastonesi
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