| 20/05/2009 | 09:21 «Lo sai che Armstrong mi ha riconosciuto e ha parlato con me per 40 minuti?«. Sapeva ancora stupirsi, Fabio: del bene che gli volevano tutti. Anche se c’era poco da sorprendersi: succede a chi vuole bene all’ambiente che frequenta. Giornalisti, fotografi, uomini dell’organizzazione: non c’eraì alcuno che non lo conoscesse. I ciclisti, addirittura, lo riconoscevano: uno sguardo, una strizzatina d’occhio, magari anche una mezza battuta quando passava in corsa gliela regalavano sempre. Ricevendone in cambio un sorriso: da ex ciclista (era stato un buon dilettante, la Reggiolo-Baiso fra le sue vittorie) sapeva che a volte era la medicina migliore per alleggerire la fatica di chi stava pedalando. Basta guardare le facce del quartiertappa di Pinerolo, poche ore dopo il tragico volo che l’ha portato via, per capire chi era Fabio Saccani agli occhi del piccolo grande popolo del Giro: uno che c’era sempre, ma sapeva starsene in disparte, senza intromettersi, curiosare o tantomeno mettersi in evidenza. Era felice di guardare il ciclismo dalla prima fila restando nella sua zona d’ombra: era di quelli che la sua passione la viveva e non la esibiva. E quando parlava dei corridori coi quali aveva confidenza, non ne vantava l’amicizia: anche se di molti, amico lo è stato davvero. Uno in particolare lo accoglierà Lassù, dove adesso si è trasferito: Marco Pantani. Al quale l’hanno legato l’amore per la bici, ma anche la devozione a Padre Pio: fu proprio Fabio, cattolico fervente, a regalare un’immagine del Santo che il campione di Cesenatico ha sempre conservato con riguardo. Ed era proprio a Fabio che, negli anni più gloriosi, Pantani non diceva mai di no: una festa, una serata pubblica, qualsiasi invito era accettato. Perché ogni volta c’era uno scopo benefico: più che di se stesso, Saccani si preoccupava degli altri. Lo stava facendo anche in questi giorni al Giro: raccoglieva maglie firmate e cimeli dei protagonisti della corsa rosa per portarli a Carpi, suo paese natìo, dove a giugno avrebbe organizzato come altre volte un’asta di beneficenza. Pantani prima, Armstrong adesso. Un feeling sbocciato qualche anno fa al Tour, quando Fabio si presentò reduce dalle cure a un cancro: il texano, a sua volta reduce da un male simile, volle incontrarlo. «Il tumore ha scelto la persona sbagliata», furono le sue parole d’incoraggiamento, dopo essersi concesso per una fotografia che per Saccani da quel momento ha avuto il valore di una reliquia. Al punto che l’aveva voluta sul casco col quale stava seguendo al Giro e che ieri mattina è rimasto intatto: l’aveva messa accanto a quella scattata, sempre in corsa, con Pantani. Quell’anno al Tour, Armstrong gli fece anche un augurio: «Vedrai, riuscirai ad arrivare a seguire il tuo trentesimo Giro d’Italia». Ce l’ha fatta Fabio, andando anche oltre: quest’anno era a quota 33 corse rosa (e a quota undici erano già le estati in Francia). Di tutti, però, questo Giro per lui era speciale: non per il Centenario che festeggia, ma per l’inedita presenza dell’americano. Al quale in questi giorni, tramite gli organizzatori, aveva chiesto il numero di gara con l’autografo. E Armstrong, immaginando a chi fosse destinato, non aveva perso tempo a regalarglielo. Ciao Fabio, te ne sei andato troppo in fretta per poterci chiamare in disparte e sussurrarci in un orecchio: «Lo sai che Armstrong mi ha regalato il suo numero autografato?».
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