Ci mancherà, da domani, la memoria viva di Henk Nijdam, il pistard e finisseur olandese scomparso l'altro giorno all'età di 73 anni.Ci mancheranno, certo, i suoi titoli mondiali di inseguitore: quello da dilettante nel '61 e quello l'anno successivo da professionista, ottenuto sconfiggendo, al 'Vigorelli', il nostro Leandro Faggin. Forse, con affetto, come cercavamo un giorno di raccontare a suo figlio Jelle, terremo a cuore i suoi affondi in certe tappe vinte al Tour o alla Vuelta a metà degli anni '60. In una carriera dal volo breve.
Ma ci mancherà molto di più, da domani, la memoria viva di Henk Nijdam e del suo dolore inconscio. In un Trofeo Baracchi mai più visto eguale: quello del '65, da lui disputato in coppia con l'emergente Gerben Karstens, in maglia Televizier.
Quel giorno in cui, giunto al Velodromo Sinigaglia di Como, Nijdam avrebbe continuato incredibilmente ad inanellare giri su giri, senza fermarsi sulla linea del traguardo, nè al segnale dei giudici. Giri su giri, la mente altrove, noi a chiederci il perchè, ed il giovane Karstens che lo implorava di fermarsi, per carità...Quel Nijdam farfalla impazzita, distrutto dalla stanchezza, come avrebbe dichiarato, se non invece da un cocktail sbagliato di stimolanti, resta per noi una immagine ed una ammonizione indelebile ben oltre l'aridità dell' ordine di arrivo: 7° in classifica, primi Anquetil-Stablinski. Paradigma del ciclismo. E dei suoi eccessi. Eccessi allora, lo diciamo come sottoscriverebbero Mario Fossati e Rino Negri, al tempo stesso in fondo drammatici e veniali. E pagati in prima persona. 40 anni prima degli antidoping e degli avvocati, dei NAS e del TAS. E dei medici in conto personale. Giri su giri, senza sapere più come uscirne fuori, da quel 'Baracchi' e dalla storia nostra e sua, non chiedeteci perchè, ma a quel Nijdam lì oggi vogliamo ancora più bene.
Gian Paolo PORRECA
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