
Prima di Pippo Pozzato e di Pippo Ganna, c’era Pippo Fallarini. Meno forte come finisseur, velocista e inseguitore, meno successi in classiche, tappe e campionati, più degli altri due Pippo Fallarini poteva contare su un dono umano: il sorriso. E se non poteva vantare la stessa leggerezza del pedalare, aveva però quella del vivere.
Oggi è il giorno di Pippo Fallarini: dalle 10 alle 12.30 e dalle 14 alle 18 la sua casa di Vaprio d’Agogna, nel Novarese, in via Campione (quasi un paradosso, o forse un regalo, per chi ha corso una decina d’anni da gregario), diventa museo grazie a un’iniziativa del Fai con l’aiuto della figlia Grazia; e alle 16, proprio nella casa-museo, viene presentato il libro su di lui scritto da Fabio Marzaglia e presentato con Franco Balmamion e Italo Zilioli. Non solo maglie e bici, fotografie e lettere, ma anche racconti e parole per ricordare il vincitore dei Giochi del Mediterraneo da dilettante e di due tappe del Giro d’Europa, di un Gran premio Industria e Commercio a Prato, di una Coppa Bernocchi e di un Giro del Lazio da professionista.
Fallarini che cominciò con la bici del papà agricoltore e commerciante, una Fuchs, le tolse i parafanghi e la considerò già da corsa. Fallarini che continuò con una bici da corsa, costruita da un artigiano e prestatagli da un cugino presidente dell’asilo infantile, bella ma troppo alta, non riusciva a pedalare, un dettaglio non certo trascurabile. Fallarini che la sostituì con un’altra bici da corsa, ricevuta da Domenico Piemontesi, antico campione e amico del papà.
Fallarini che cominciò a gareggiare fra gli allievi senza neanche indossare il dorsale, era il 10 agosto, festa di San Lorenzo, patrono di Vaprio, e lui s’intrufolò nel gruppo. Fallarini che continuò a gareggiare, e cominciò a vincere, fuga con altri quattro o cinque, arrivo in volata. Fallarini che per continuare a gareggiare fu costretto ad aiutare a vincere, e spiegava che il padrone pagava e comandava, lui ubbidiva e faceva il suo lavoro, prendere e portare acqua, inseguire sul piano e spingere in salita.
Fallarini che ogni tanto in salita riceveva spinte da spettatori misericordiosi, gli inflessibili commissari si avvicinavano in moto e urlavano i dorsali per comminare multe, sette, quindici, trentaquattro, novantotto… e Alfredo Martini, sentito nominare anche il suo numero, esclamò “tombola!”. Fallarini che non perse il suo sorriso neppure nei giorni più bui, per esempio al Tour de France, nel 1958 era in fuga, maglia gialla virtuale, ma in un ventaglio cadde, picchiò la testa, si ruppe la spalla e finì all’ospedale, e nel 1959 fu avvelenato dal cibo in un albergo.
Fallarini che a Fausto Coppi dava del lei, anche quando Coppi lo pregava di dargli del tu, in fondo siamo corridori tutti e due, spiegava il Campionissimo, in fondo io, ma lei davanti, commentava Pippo. Fallarini che, quando vinceva, il parroco di Vaprio d’Agogna tirava la fune e faceva squillare le campane a festa, tanto da essere convocato dal vescovo per contenere il proprio entusiasmo in un uso più moderato e appropriato.
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