
E la chiamano noia. Via, spazzati via come fosse passato l'uragano Mary tutti i triti e lisi luoghi comuni del giorno d'oggi. Noiosa la Sanremo, sette ore inutili, una corsa ormai anacronistica, cosa aspettano a cambiare il percorso, a inserire altre salite, come no, magari il Colle delle Finestre e il Fedaia. E poi noioso Pogacar, sempre lui, sempre lo stesso, la morte del ciclismo incerto ed emozionante, come si fa ad amare un campione così...
Via, spazzato via tutto il ciarpame delle prefiche addolorate, cancellato da un'edizione stratostefrica, che dalla Cipressa in poi mette davanti il mejo del branco e fino all'ultimo metro non ti lascia respirare. Avrebbero scritto le gazzette di una volta: magnifica edizione d'esordio, in una grande cornice di folla, della nuova corsa per velocipedisti Pavia-Sanremo, che si candida a segnare con il suo spettacolo e il suo prestigio il luminoso futuro di questo sport. Uscendo dall'enfasi della retorica da Istituto Luce, guardiamola e prendiamola per quello che è, questa psichedelica Pavia-Sanremo della generazione Z. Un regalo di tre atleti eccelsi, questo Van Der Poel sicuramente signore indiscusso delle corse in linea, questo Ganna spaventosamente forte e intelligente, orgoglio e consolazione d'Italia, e poi certo, sua Noia Teddy Pogacar, il favoritissimo scontato, scontato almeno quanto i suoi attacchi sulla Cipressa e sul Poggio, così da fare selezione neanche fosse un Fiandre, ma in questo caso con una variante che manderà in estasi i suoi (numerosi e rosiconi) detrattori: non c'è santo, stavolta è Teddy Po(llo)gacar, fatto e finito, in tutto e per tutto.
Nella Sanremo dello show e dei fuochi d'artificio, forse è proprio questo il botto più rumoroso e più colorato: Pogacar che prima fa di tutto per non consentire il rientro di Ganna (e ci sta), ma poi il Pogacar che costruisce uno sprint da campione del mondo degli impiastri. Ognuno può raccontarsela a modo suo, lui stesso avrà spiegazioni indiscutibili, ma la libertà è magnifica perchè tutti possono farsi un'idea personale. La mia è questa: Pogacar butta via tutto nell'ultimo chilometro, anche meno, con quella decisione estrema di lasciare metri a Van Der Poel, contando probabilmente di sfruttare la scia di Ganna per la rimonta. Ma è evidente a tutti quanto sia ingenuo e sgangherato il calcolo geometrico: quei metri lasciati a Van Der Poel sono troppi, visibilmente troppi, anche senza misurarli con la bindella. Soprattutto perchè sono lasciati a un tizio come Van Der Poel, non l'ultimo dei fattorini al ritrovo del sabato. Difatti, a quello non pare vero, sembra incredulo come la vergine di Nazareth quando appare l'Arcangelo con il suo annuncio particolare, basta un attimo e chi lo vede più. Non è una vittoria, è una stra-vittoria su due stra-rivali, l'eroico Ganna nostro assieme al campione mondiale di ciclismo su strada e del pollame d'allevamento.
Giusto così, chi sbaglia paga, Teddy stavolta paga e Van Der Poel vince anche il duello della strategia. Tutto questo fa solo del bene al ciclismo moderno: per un giorno non dovremo sorbirci i lamenti di quelli che noia questo Pogacar, per un giorno potremo persino goderci l'imperfezione e le amnesie del nuovo Cannibale, per un giorno potremo tornarcene a casa senza l'annuale dibattito sul percorso stucchevole e banale della Sanremo.
Mettiamo tutto assieme e comunque salviamo in memoria un giorno indimenticabile. Alla fine, Teddy risulta provvidenziale e decisivo anche da battuto. Nella versione pennuta del pollo iridato.