
Considerata monumentale al pari di quelle con molti più anni di storia sulle spalle, la Strade Bianche è il modo migliore per affacciarsi sulla stagione delle grandi classiche: è spettacolare, si corre in scenari da favola e con i suoi sterrati regala un fascino antico al ciclismo moderno. In più può esibire un albo d’oro che, a dispetto della giovane età (diciotto le edizioni fin qui disputate), è già prestigioso: di quelli che dettano legge nelle corse di un giorno, manca soltanto Evenepoel. Percorso tradizionale, da Siena e ritorno con l’arrampicata finale a Piazza del Campo, un’avventura di 213 chilometri, 82 dei quali distribuiti in sedici tratti di strade di terra e ghiaia, dove alle difficoltà tecniche, come gli strappi e le picchiate, si aggiunge l’elevato rischio di cadute e forature. Dei tre al via che l’hanno già vinta, Pogacar e Kwiatkowski sono quelli che puntano al tris: riuscirci vale l’intitolazione di una pietra miliare sul tracciato, fin qui ottenuta dal solo Cancellara. Quanto all’Italia, è ancora ferma al successo di Moreno Moser, datato 2013. Ecco le dieci facce che potrebbero uscire vincenti dal polverone toscano.
Tadej Pogacar. Vince perché farlo gli riesce facile su qualsiasi terreno, perché ha il senso della storia e anche qui punta a scriverla, perché un anno fa con 81 chilometri di fuga ha spiegato di essere un piano sopra agli altri. Non vince perché la sorte non sempre è alleata del più forte.
Tom Pidcock. Vince perché è uno dei tre in gara che c’è già riuscito, perché è un altro di quelli che non fa differenza fra strada e fuoristrada, perché aver già vinto quattro volte in stagione è segnale di forma e regala serenità. Non vince perché quando ci sono in giro i fenomeni deve accodarsi.
Toms Skujins. Vince perché è uno di quelli che in questa corsa si migliora di anno in anno, perché il secondo posto della scorsa edizione gli ha regalato certezze, perché le classiche dure sono il suo pane. Non vince perché recitare ruoli importanti non sempre aiuta a diventare primattori.
Michal Kwiatkovski. Vince perché questa è una corsa che conosce benissimo, perché nelle prove di un giorno è sempre meglio tenerlo d’occhio, perché arriva da una stagione in cui non si è spremuto e quest'anno ha già vinto la Clasica Jaen sugli sterrati della Galizia. Non vince perché a 34 anni comincia a sentire il peso delle nuove generazioni.
Marc Hirschi. Vince perché è uomo da classiche, perché da inizio stagione ha sempre corso in prima fila, perché finalmente ha l’occasione di affrontare questa prova da leader e non da gregario. Non vince perché andar forte sull’asfalto non significa poterlo fare anche sugli sterrati.
Davide Formolo. Vince perché più la corsa è dura e più gli piace, perché le ultime cinque volte è finito tre volte nei dieci con un secondo posto, perché con Bettiol e Zana è tra le poche cartucce che abbiamo. Non vince perché in una corsa così non basta esser tenaci per staccar tutti.
Valentin Madouas. Vince perché è una corsa che ha nelle corde, perché in quattro partecipazioni conta un secondo posto e tre nei primi venti, perché è uno che davanti ci sta sempre. Non vince perché esser protagonista nelle classiche non gli ha ancora consentito di centrarne una.
Matej Mohoric. Vince perché è un altro che con le classiche va a braccetto, perché sugli sterrati ha l’esperienza per poter fare centro, perché da un paio di anni arriva subito alle spalle dei migliori. Non vince perché ha iniziato la stagione con l’aria di chi pensa soprattutto alle classiche del Nord.
Attila Valter. Vince perché in questa classica è sempre andato bene, perché fuoristrada si difende benissimo, perché può correre con la squadra a disposizione e non a disposizione degli altri. Non vince perché ha appena due corse sulle gambe e sugli sterrati potrebbe non bastare.
Kevin Vauquelin. Vince perché è un ragazzo di talento, perché ha iniziato questa stagione alla grande, perché un anno fa al debutto ha dimostrato di essere da corsa anche sulle crete senesi. Non vince perché una classica come questa richiede le certezze che ancora non ha.