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Anna Van Der Breggen sta tornando, anzi in realtà l’ha già fatto sul serio. A fine giugno l’annuncio della decisione di ricominciare la carriera professionistica dopo tre anni di stop aveva creato entusiasmo generale, tanta sorpresa, ma anche l’idea che fosse qualcosa di impossibile, ma ora il sogno della fuoriclasse olandese si è materializzato.
«Non ho un obiettivo preciso e non mi aspetto di ottenere gli stessi risultati di prima. Vorrei solo essere felice» dice subito Anna Van Der Breggen senza giri di parole, spiazzando ed effettivamente anticipando qualsiasi domanda che le possa arrivare. È l’ora di pranzo di un giovedì di fine gennaio, con una manciata di colleghi che si contano sulle dita di una mano siamo collegati in una riunione zoom; ciascuno è nella propria casa, dall’altra parte c’è proprio Anna Van Der Breggen, sorridente, con due cuffie enormi che ricordano quelle di un dj. Si tratta del primo vero incontro con la stampa da quando è arrivato l’annuncio del suo incredibile ritorno, ha il volto rilassato e sereno come forse non vedevamo da tempo; Anna è pronta ad accompagnarci nel racconto sincero del suo amore per il ciclismo.
Nella sua carriera Anna Van Der Breggen ha vinto qualsiasi cosa, ma soprattutto si è ritagliata un ruolo da assoluta protagonista di un movimento femminile, si è presa il carico di farlo conoscere e far appassionare. Due titoli iridati in linea, uno a cronometro, la medaglia d’oro olimpica a Rio 2016, 4 giri d’Italia, 2 Liegi, un Fiandre e ben 7 vittorie consecutive alla Freccia Vallone sono solo alcuni tra i successi della dominatrice olandese che è diventata un’autentica icona non solo per la nuova generazione “orange”, ma per molte di quelle ragazze cresciute che ora in gruppo si contendono le grandi corse sperando di avvicinare i suoi record.
Nel 2021 il capitolo della sua incredibile carriera si era chiuso senza rimpianti, ma con la sicurezza di aver dato tutto e di essere pronta ad iniziare quello da diesse. Ci aveva fatto un certo effetto ascoltare la decisione di dire basta, alla partenza del suo ultimo Giro d’Italia a Cuneo ci aveva spiegato senza troppi giri di parole. Anna non aveva rimpianti, anzi, era semplicemente curiosa di vedere cosa ci fosse dall’altra parte e costruirsi una nuova carriera, affrontando di petto la vita vera.
Lasciare il ciclismo non è però mai stata una scelta presa in considerazione, nemmeno quella di abbandonare la SD Worx lo è stata: semplicemente è cambiata a la prospettiva da cui vivere ogni corsa. Da super atleta Anna è salita in ammiraglia diventando il direttore sportivo della più forte corazzata in campo femminile. Ci capitava spesso di vederla alle corse, un po’ defilata in zona partenza, ma sempre con lo sguardo vigile sulle sue ragazze e su tutto ciò che stava accadendo intorno a lei; abbiamo capito subito che non voleva parlare della sua carriera precedente ma del suo nuovo lavoro in cui sembrava trovarsi perfettamente a suo agio.
«Diventare direttore sportivo mi ha dato la possibilità di vedere il ciclismo in maniera diversa e sicuramente più globale, da atleta devi pensare solo a te stessa, invece qui hai la responsabilità di tutti quanti, bisogna sempre stare attenti. Ho capito meglio i tempi in corsa, ma soprattutto le dinamiche in gruppo che prima ignoravo; per esempio tutto quello che succede nella coda. Io raramente stavo nelle ultime posizioni del plotone, ma con il lavoro da diesse ho capito tutto il via vai che c’è dietro, le operazioni dei gregari e delle varie ammiraglie, è qualcosa di molto particolare. Ho visto molte ragazze crescere e sono felice di aver messo a disposizione la mia esperienza per aiutarle, è stato speciale e gratificante» racconta Anna orgogliosa di quanto ha fatto come direttore sportivo, un lavoro che l’appagava e che l’ha fatta crescere come persona. Avrebbe potuto continuare a farlo per sempre, ma ad un certo punto c’è stato un richiamo più forte di ogni altra cosa e non ha più potuto fare finta di niente.
«Non c’è stato un momento o una gara precisa che mi ha fatto decidere di tornare, più che altro è stata una sensazione, un bisogno che ho sviluppato poco alla volta, ho capito che mi mancava qualcosa. Durante la mia carriera avevo tante pressioni, volevo vincere a tutti i costi, volevo essere la migliore ma poi tutto d’un tratto mi sono ritrovata ad un punto morto, avevo raggiunto tutto, non avevo più stimoli. Tokyo sarebbe stato il punto massimo, dopo quello tutto sarebbe finito. Fare il direttore sportivo mi è piaciuto subito e mi faceva stare bene, ma dopo circa un anno sulla macchina della SD Worx ho iniziato a chiedermi “e se le cose fossero andate diversamente? che cosa avrei potuto fare?. Più andavo avanti e più le domande si accumulavano, ma soprattutto sentivo l’esigenza di cambiare tutto, ancora una volta. E quindi perché non provarci? Quando ho annunciato il mio ritorno, mi hanno subito chiesto se lo facevo per provare a correre il Tour, ma la ragione era soltanto una: a me mancava il ciclismo, quello pedalato. E come avrei potuto continuare a guardare solo dalla macchina tutto ciò a cui avevo detto addio?» dice Anna aprendo completamente il suo cuore e lasciandoci letteralmente senza parole. Sembra non ci sia altro da aggiungere perché sono bastate quelle parole per farci capire non solo la dedizione ma l’amore assoluto di un’atleta. È lei ad incalzarci a chiederle altro facendoci capire che tutto quello le era mancato.
Tra le tante sfide affrontate questa è sicuramente la più dura di tutte, è la stessa Van Der Breggen a dirlo, specificando però che sarà anche la più stimolante che abbia mai affrontato. Anna non ha mai messo da parte la bici, ma viene da tre anni senza corse né allenamenti mirati, soprattutto di intensità, un gap importante che non bisogna sottovalutare. Fin da quando a giugno ha ricominciato ad allenarsi sul serio la strategia è stata quella di procedere a piccoli passi.
«La decisione di tornare non è stata presa alla leggera, ho parlato con diverse persone e mi sono confrontata con alcune ragazze del team chiedendo se effettivamente fosse possibile. Ritornare ad essere un’atleta del Team SD Worx sarebbe stato naturale, alcune erano già state mie compagne di squadra, altre le avevo proprio cresciute dall’ammiraglia, più ci penso, più non vedo l’ora di correre al loro fianco - prosegue Anna -: nel giugno scorso ho iniziato ad allenarmi sulle lunghe distanze e sull’intensità, sono cambiate varie cose rispetto a ciò che facevo prima, per esempio ho lavorato tanto in palestra, cosa che non avevo mai fatto. I miei dati sono abbastanza buoni, credo che non siano ancora sufficienti per provare a vincere una gara, ma non è questo il mio vero scopo. Avrò un ruolo diverso rispetto al passato perché sono un tipo di persona e di atleta differente, non punto ad una corsa, ma vorrei solo correre con le ragazze della mia squadra e godermi ogni singola pedalata. Da giovane l’obbiettivo era unicamente quello di vincere, ora sono cresciuta, ho iniziato ad apprezzare anche le piccole cose, non ci sono solo le gare, ma molto altro».
Sono passati tre anni e mezzo da quando Anna Van Der Breggen ha salutato il mondo del professionismo, un arco di tempo che sembra brevissimo, ma che in realtà ha visto compiersi un cambiamento radicale e totalizzante del ciclismo femminile. Se fino ad una manciata di stagioni fa il divario tra uomini e donne era gigantesco, ecco che in pochissimo tempo tutto è cambiato generando non poche conseguenze. Sono aumentate le squadre World Tour, le corse, ma soprattutto è cambiata la mentalità di concepire e di gestire una donna in bicicletta che è diventata (e dobbiamo dire finalmente) una professionista a tutti gli effetti. Se per chi lo ha vissuto è una conseguenza graduale e diretta di un cambiamento necessario, ecco che risulta un ulteriore scoglio per una neo atleta come la Van Der Breggen che deve ricominciare quasi da zero.
«Da direttore sportivo ho assistito a molti dei cambiamenti in atto, ma viverli in sella è tutta un’altra cosa. La cosa che è cambiata di più è certamente il livello del gruppo; quando correvo io c’erano 4 o 5 team World Tour, ora ci sono grandi squadre attrezzate con delle vere e proprie strutture. Le ragazze sono seguite in tutto e per tutto, seguono allenamenti specifici, un’alimentazione mirata, finalmente vengono considerate come delle professioniste che possono competere ad altro livello. Il movimento sta crescendo in fretta e poco alla volta sto cercando di inserirmi in queste nuove dinamiche: sapevo cosa succedeva tre anni fa nel gruppo mentre devo imparare come muovermi, come gestire la corsa in maniera differente. La nascita di nuove gare come il Tour de France e la Sanremo sono un’ulteriore dimostrazione di come il movimento stia crescendo, ma non bisogna dimenticare che ci sono molte corse che spariscono: in Olanda organizzare gare è sempre più difficile, il ciclismo femminile va sostenuto».
Durante tutta la lunga chiacchierata Anna Van der Breggen non si è mai sbilanciata circa il suo esordio stagionale, le piacerebbe tornare a correre sulle Ardenne e magari essere al via del Tour per dare una mano a Lotte Kopecky, ma il Giro d’Italia continua ad avere un posto speciale nel suo cuore.
«Ho ancora molto lavoro da fare e sono contenta che il team mi dia il tempo che serve. Spero di migliorare velocemente e di raggiungere un livello tale che mi permetta di essere al via delle grandi corse a tappe,. Siamo tutti curiosi di vedere come andrà, me compresa, ma non sento assolutamente la pressione, non devo dimostrare nulla, voglio solo ritornare a gareggiare» dice prima di salutarci.
Anna è serena e senza pressioni perché sta facendo semplicemente ciò che ama. È impossibile dire se ritornerà la fuoriclasse di un tempo o sarà una delle tante in gruppo, ma la sua scelta rimane un esempio del coraggio di mettersi in gioco sempre e comunque. Ora Anna non punta più ad alzare le braccia al cielo, lo ha già fatto centinaia di volte, ma, come ci ripete più e più volte in modo sincero, il suo obiettivo è soltanto uno: diventare la parte migliore di se stessa.
da tuttoBICI di febbraio
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