L’obiettivo era quello di porre fine alle morti sulle strade e agli incidenti subiti dalle parti vulnerabili della strada (ciclisti, pedoni ed ora anche motociclisti), e l’ultimo evento che ha smosso i lavori della politica è stata la morte del ciclista Davide Rebellin (30 novembre 2022). La sua uccisione aveva scosso tutti, per l’ennesima volta, al punto che il Governo di allora si mise appunto all’opera per siglare una riforma che aveva lo scopo di tutelare i ciclisti sulle strade.
Le prime bozze di riforma, redatte nei giorni seguenti la morte di Davide Rebellin, ucciso infatti da un camionista datosi poi alla fuga dopo averlo superato e urtato, prevedevano l’inserimento di una serie di cautele obbligatorie per gli automobilisti ogni volta che si fossero trovati nella condizione di dover superare un ciclista.
A distanza di oltre due anni, però, lo slancio a favore dei ciclisti pare notevolmente affievolito, al punto che l’esito odierno non ha certo l’aria di una vera svolta, ma piuttosto appare una svolta pericolosa e insidiosa, effettuata senza nemmeno mettere la freccia.
Scompare così un principio che ancor prima del legislatore aveva convinto i magistrati: il sorpasso del ciclista veniva infatti considerato manovra pericolosa, da effettuarsi con estrema cautela, al punto di ritenere automaticamente colpevole l’automobilista che in fase di sorpasso avesse urtato e provocato la caduta del ciclista. Il principio era stato assorbito dai PM e dai Giudici, seppur in fase di patteggiamento, al punto di introdurre una nuova fattispecie giuridica: “il sorpasso cautelare”. Così si legge nei capi di imputazione e nelle Sentenze di condanna emesse per omicidio stradale, quando il ciclista è stato ucciso nel compiere questa manovra:
Un esempio: “Tizio, alla guida di autoveicolo, imputato per omicidio stradale di Caio, alla guida di velocipede, per non aver effettuato il c.d. “sorpasso cautelare”, ovvero per aver superato il ciclista senza tenere una distanza di sicurezza e una velocità ridottissima, causandone il decesso a seguito dell’urto”.
In parole povere: se veniva colpito un ciclista durante la manovra di sorpasso ne derivava in modo automatico la violazione delle cautele dovute da parte dell’automobilista, valutando le circostanze che la norma (art. 148 cds) ti imponeva.
In questi casi, grazie anche al dispositivo dell’art. 590 bis c.p. (omicidio stradale introdotto nel 2016), automaticamente l’automobilista veniva incolpato e condannato per omicidio stradale.
L’art. 148, prima della riforma, indicava una serie di accorgimenti e cautele che l’automobilista doveva mettere in atto prima di affrontare la manovra di sorpasso: doveva tener conto della minore stabilità del ciclista, della probabilità che fosse soggetto a sbandamenti e deviazioni, e per questi motivi, trattandosi appunto di parte vulnerabile della strada, era l’automobilista a dover prestare particolare attenzione, al punto di non dover effettuare il sorpasso se non fosse sicuro, anzi più che sicuro, di non mettere in pericolo il ciclista.
In ogni caso il sorpasso doveva essere effettuato con particolare prudenza, sicurezza e a velocità ridottissima!
Il nuovo articolo 148 semplifica il tutto, indicando 1,5 metri quale distanza da tenere in fase di sorpasso del ciclista. Ma lo stesso articolo specifica immediatamente “ove le condizioni della strada lo consentono”, e non contempla più tutte le altre misure, che nel precedente articolo costituivano condizioni imprescindibili per poter effettuare la manovra.
Il timore, da un punto di vista giuridico, è che l’automobilista che urterà il ciclista possa giustificarsi sostenendo che le condizioni della strada non gli consentivano la distanza di 1,5 metri, avvalendosi del fatto che non viene specificato nella norma alcun divieto di sorpasso, con l’ulteriore dato da valutare in riferimento alle dimensioni del suo veicolo (il nuovo codice infatti non rileva più che il ciclista è soggetto a sbandamenti e instabilità, ma ha contemplato come variante le dimensioni dell’auto!).
Ad essere positivi si potrebbe interpretare, questo è l’augurio, nel senso più stringente, ovvero un implicito divieto di sorpasso ove non si possa tenere il metro e mezzo di distanza poiché le condizioni non lo consentono.
La speranza è proprio quella di imprimere questa distanza cautelare nella testa degli automobilisti e che venga considerata invalicabile, a vantaggio della vita dei ciclisti, e che qualora non fosse possibile si rinunci al sorpasso, attendendo che ci siano effettivamente le condizioni di sicurezza.
In caso contrario, qualora l’automobilista effettuasse il sorpasso urtando il ciclista, la seconda speranza è che Giudici e PM applichino le medesime considerazioni ante riforma, con ulteriore semplificazione deducendo che “se un ciclista venisse urtato in fase di sorpasso ne discende automaticamente la violazione del metro e mezzo, con conseguente responsabilità esclusiva dell’automobilista.”
Un automatismo che gioverebbe al livello di attenzione che gli automobilisti dovranno tenere in questa pericolosissima manovra, troppo spesso sottovalutata o forzata anche in mancanza delle condizioni di sicurezza, non considerando che in sella a quella bici c’è sempre una persona.
Siamo quindi ancora alle speranze e alle interpretazioni, rammaricati del fatto che una norma più chiara e incisiva, che imponesse ad esempio cautele idonee ad evitare ogni rischio, con conseguente divieto di sorpasso in mancanza delle condizioni, e ponendo in capo all’automobilista una colpa oggettiva, qualora avesse effettuato la manovra urtando il ciclista, avrebbe certamente giovato alla sicurezza e al numero, ridotto, di vite perse sulla strada.