E’ un libro genuino. Quella volta che – Giro d’Italia 1986 - sul Passo San Marco con Gianni Bugno “entrambi in evidente difficoltà. Ci sorpassò l’ammiraglia della sua squadra, l’Atala, e il suo direttore sportivo Franco Cribiori se ne uscì con un eloquente ‘che curidur de merda’”.
E’ un libro onesto. Quella volta che – Giro di Lombardia 1987 – Vincenzo Torriani, il patron, scivolò e cadde all’interno dell’ammiraglia “provocando la distrazione del suo autista, che perse il controllo del volante e finì per tamponarmi facendomi cadere, per fortuna senza conseguenze”.
E’ un libro sincero. Quella volta che – Tour de France 1990 – “mi occupavo della gestione dei premi”, Chiappucci “era anche un po’ tirchio” e “chiese ugualmente di entrare nella suddivisione, anche se l’aver indossato per otto giorni la maglia gialla e l’aver concluso il Tour al secondo posto, grazie appunto al lavoro di tutta la squadra, gli aveva procurato una notorietà e un ritorno economico sufficienti per chiamarsi fuori dalla spartizione”.
E’ un libro intimo. Quella volta che – tappa del Gavia al Giro 1988 – “appena tagliato il traguardo, alcuni volontari mi sorressero, mi sfilarono i piedi dalla bici e mi avvolsero nelle coperte. Ero assiderato, quasi paralizzato. So che impiegai parecchio tempo per riprendermi. Persi anche un po’ di sensibilità alle mani: tutt’ora, a 36 anni di distanza da quel giorno terribile, sento il caldo e il freddo in ritardo”.
“Ho vinto un Giro (quasi)” è il libro in cui Flavio Giupponi si racconta a Paolo Marabini (Bolis Edizioni, 102 pagine, 16 euro, con la prefazione di Ildo Serantoni), e lo fa in modo genuino, onesto, sincero e intimo. In quella generazione italiana prima sacrificata nel dualismo Moser-Saronni, poi stretta fra quello Bugno-Chiappucci, Giupponi è stato uno dei protagonisti. Due sole vittorie individuali (la tappa di Corvara al Giro 1989 e il Giro dell’Appennino 1990), oltre a una cronosquadre (Giro 1988), una classifica della montagna (Giro di Svizzera 1994) e il Trofeo Bonacossa (1989), ma soprattutto quella quasi vittoria al Giro d’Italia 1989 dietro Laurent Fignon, oltre a un quarto posto nel 1988 e un quinto nel 1987.
Giupponi si racconta dal suo chilometro zero (“Nato sul tappetino di una Fiat 600”, quella con cui papà Giupponi, operaio muratore autotrasportatore, accompagnava mamma Giupponi all’ospedale di Bergamo prendendosela “relativamente comoda”) fino alla soglia dei sessant’anni (“Giusto all’imbocco della salita finale”). Ci sono le gioie (il suo primo allenatore allo Sporting Club Almè “disse che dovevamo risolvere il problema della bicicletta, perché era diventata troppo piccola. Di lì a breve andò da Gimondi, che aveva appena chiuso la carriera e lui conosceva bene, e se ne tornò con una Bianchi tutta nuova per me”), ma anche i dispiaceri (“Mai avuto un buon rapporto con la Nazionale”, “sebbene in più di un’occasione meritassi di essere preso in considerazione”). Ci sono i palcoscenici (dopo la vittoria di Corvara “ricordo ancora il titolo che ‘La Gazzetta dello Sport’ mi dedicò l’indomani: Giupponi, un gigante”), ma anche i retroscena (“Giro 1988, cronoscalata al Valico del Vetriolo, “scendendo dal traguardo, in mezzo alla confusione non riuscii a trovare dove era il locale del controllo antidoping”, “il tempo a disposizione stava finendo e andai nel panico”, “finalmente trovai il punto, ma ero fuori tempo massimo”, però la penalizzazione di 10 minuti in classifica “venne poi commutata in una multa”). Compresi gli incontri con il diabolico dottor Michele Ferrari (“Mai conosciuto uno scienziato preparato, meticoloso e innovativo come lui”) e il team manager Franco Gini (“Personaggio un po’ particolare, diciamo non proprio limpido, che mi avrebbe successivamente procurato delle serie grane fiscali”).
Ci sono anche racconti del gruppo. Quella volta che – forse il Gran Premio delle Nazioni 1984 – Visentini “segò la bici in dodici pezzi e li mise in un sacchetto. Li consegnò a Boifava e gli disse: ‘Io smetto’”. Quella volta che – dopo il Gavia al Giro 1988 – lo stesso “Visentini telefonò a Torriani e gli disse: ‘Vincenzo, sei tu? Ricordati che, quando morirai, la bara te la regalerò io’. Per chi non lo sapesse, la famiglia di Roberto aveva un’impresa di pompe funebri…”. E così è anche un libro divertente.